Ancora frastornati dalla vittoria sul filo, sofferta ma alla fine nettissima di Joe Biden alle elezioni americane, si aprono questa settimana le speculazioni per le conseguenze sull’Italia del nuovo assetto.
Naturalmente, visto che il presidente uscente Donald Trump ancora non ha concesso la sconfitta, visto che il passaggio delle consegne vero arriverà solo a gennaio prossimo e che l’Italia non è una priorità per gli Usa, Roma può ancora cullarsi nel pensiero che in fondo tutto continuerà come prima.
Ma forse non sarà così davvero.
La prima questione europea aperta è la Brexit. Di origine irlandese, Biden ha detto in campagna elettorale che l’accordo di pace per l’Ulster non si tocca. Quindi il Brexit senza accordo, che riapre la questione della frontiera da chiudere tra Ulster (parte del Regno Unito) e la repubblica dell’Eire, il resto dell’isola irlandese, avrà difficoltà.
Infatti tutta la questione della Brexit di Boris Johnson si reggeva sull’assunto di un sostegno americano da parte di Trump, favorevole a una frantumazione dell’Unione Europea.
Biden è di avviso contrario. Lui vuole una Ue più compatta, e più unita con gli Usa, con un accordo di libero scambio, in fieri sotto l’amministrazione Obama e cancellato da Trump. Questo crea un contesto diverso, improntato a una relazione più forte con Francia e Germania.
Ciò anche perché il disegno dell’amministrazione Obama, dove Biden era il n. 2, era di isolare l’economia cinese nei fatti con accordi di libero scambio in Asia, centrati su Giappone e Sud Corea, e in Europa, centrati su Francia, Germania e Uk. Con l’accelerazione della disputa cinese è quindi possibile che questo disegno strategico sia oggi ripescato e rinfrescato.
In tale quadro il Regno Unito sarebbe più utile dentro che non fuori la Ue. L’idea pare sia quella di togliere aria all’economia e al commercio cinese, accusato di attuare pratiche di competizione non eque e di avere in sostanza violato lo spirito dell’accordo per l’ingresso nel Wto (Organizzazione del commercio mondiale) venti anni fa. Non è chiaro come la Cina si prepari a reagire a questo. Probabilmente da parte degli Usa i modi saranno più civili, la sostanza più dura.
I britannici sono pratici e non ideologici; potremmo assistere presto a un’inversione a U nei fatti, se non nelle parole, di Londra su Brexit e Ue.
Ciò apre la questione di dove si colloca l’Italia. Il premier Giuseppe Conte, sull’orlo della defenestrazione nell’agosto 2019, fu incoronato da Trump con il tweet del famoso “Giuseppi”. Si trattava forse di una strizzata d’occhio per la lealtà di Conte nell’inchiesta promossa dal procuratore generale Usa Raymond Barr contro una presunta corruzione di democratici.
Questa però era un atto di fedeltà a Trump, non all’America, anzi, si infilava nel terreno minato dello scontro di un partito, i repubblicani di Trump, contro un altro partito, i democratici di Biden, in Usa.
Inoltre, c’è un problema di apparato: l’ambiguità strategica del governo italiano verso la Cina. Questo è un problema sostanziale, che rischia di minare il disegno Usa per una Ue più unita, più filoamericana e più anti-cinese.
Tale quadro si somma alle difficoltà economiche e politiche attuali del governo. Al di là dei primi facili entusiasmi italiani potrebbe essere un momento ancora più difficile per Roma, dove tanti peccati passati potrebbero essere scontati tutti insieme.