Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha detto che vuole rimanere in politica. Tanta stampa lo ha applaudito ed è appena nascosto l’intento della dichiarazione. Dopo due mandati come premier, Conte si candida al Quirinale.

Ci sono anche i giusti motivi. Conte è uomo di equilibri, e forse potrebbe garantire ampi settori di questo Parlamento, che lo eleggerebbe.



Forse, però, questa candidatura apre una questione più di fondo e più generale: Conte vuole rimanere politica, ma per fare che cosa?

Un tempo c’erano prima gli schieramenti, poi le idee, infine gli uomini di qualità. All’interno di questi parametri, tutti molto rigidi, c’era la duttilità. Cioè la duttilità era necessaria proprio perché c’erano schieramenti, idee, e qualità personali tutte molto forti. Quindi per parlarsi reciprocamente, e non degenerare in vera guerra civile, occorreva duttilità.



Ma se mancano schieramenti, programmi e uomini di grande personalità, la duttilità è il nulla sul nulla, una mano di vernice sulla nebbia: il colore rimane sempre attaccato al pennello.

E qui la grande storia e quella personale si incontrano.

I detrattori di Conte sottolineano il suo essere un uomo esile, baciato dalla fortuna. Circolano storie sulla casualità della sua promozione. Dicono che quando gli venne proposto Palazzo Chigi lui esitò e chiese suggerimenti al suo maestro Guido Alpa. Conte era un ottimo avvocato di contratti, ma non sapeva di politica. Il maestro gli avrebbe detto: “accetta, quando ti ricapita nella vita!?”



Forse per Conte la nomina a premier del primo scombiccherato governo M5s-Lega non fu il kairos, il momento divino in cui la dura e lunga preparazione personale si incontra con l’occasione della storia. Essa fu piuttosto il 13 al totocalcio, il gol di striscio sul piede e di rimbalzo sul palo al 90° minuto, il colpo di fortuna che all’improvviso cambia le sorti di una vita. Questa è la quintessenza di un certo italiano glorificato da Alberto Sordi: pieno di vizi ma salvato dal destino, feroce ma di buon cuore, come lo ha descritto Francesco Merlo su Repubblica.

Si può? Sì, è la storia. Cristo raccolse 12 umili uomini di varia umanità per farli suoi apostoli. Anche in Cina gli imperatori mitici sceglievano come propri successori al trono gente di umili origini, Yao scelse Shun che era un contadino e pescatore; Tang scoprì Yi Zhi che era un cuoco. Si riconosceva il merito.

Il punto allora è: dov’è stato finora il merito di Conte? E soprattutto, al fine di realizzare quale programma Conte vuole rimanere in politica? Non sono domande retoriche. Se ci sono risposte compiute e politiche forti allora tutto si giustifica, altrimenti rimane la vernice sulla nebbia.

Infatti, dall’esterno non è merito ma demerito avere prima servito il leader della Lega Matteo Salvini e poi averlo abbandonato senza un profondo mea culpa: l’uomo che asseconda il “truce” Salvini e poi lo sbertuccia, ignaro che così sta sbertucciando sé stesso e il suo servizio?

È il professionista che si fa comico, quando il comico si è fatto professionista della politica; è l’Italia che non riesce a finire una guerra rimanendo sempre dalla stessa parte, come pensano tutti all’estero. È il Parlamento italiano che prima si inchina al presidente cinese Xi Jinping come se volesse lasciare Nato e Ue e dopo sei mesi vota all’unanimità contro Pechino per quello che succede a Hong Kong.

Di nuovo, la barca in mezzo ai flutti non può ignorare i venti, deve assecondarli, ma avendo una direzione chiara. Così in realtà piega i venti a sé stessa. Senza direzione invece è solo una foglia che prima o poi affonderà; o se arriverà a destinazione, sarà solo per caso.

L’unico motivo apparente per tenersi Conte allora diventa garantire il vuoto che tutti paiono volere. Nessuno, infatti, a cominciare da Salvini, da un anno vincitore in pectore delle elezioni, mostra di volere il voto e nessuno sa cosa chiaramente fare del paese. Le sardine sono uno slancio nobile ed encomiabile contro certa retorica razzista e violenta, ma in favore di che cosa?

Secondo alcuni dati recenti in Italia ci sono 200 miliardi di sprechi burocratici e 110 miliardi di evasione fiscale. Se per un miracolo si riuscisse d’un colpo a intaccare l’uno e l’altro significherebbe in un anno abbattere il deficit sul Pil (oggi in viaggio verso il 140%) sotto il 120% e soprattutto mandare al mondo un messaggio politico forte: l’Italia ha svoltato.

Eppure si sa che questi conti non sono semplici addizioni e sottrazioni. Sono equazioni complesse, dove ogni dato ne mette in moto altri in un gioco di migliaia di interessi costituiti, che significano voti e potere.

Quindi che fare dell’Italia? Mettere i conti in ordine è giusto ma come e per fare cosa? È chiaro che così l’impresa Italia non può andare avanti. Un’azienda in genere ha due tipi di problemi: i conti e il prodotto. A volte il prodotto è ottimo, ma i conti sono in disordine. Un paio di tagli e aggiunte rimettono tutto in ordine. A volte invece, per quanti aggiustamenti si facciano, non si riesce a far quadrare i bilanci. Allora i conti sono in disordine perché il prodotto non funziona. Il “prodotto Italia” è squilibrato e non funziona: il 20% della popolazione tira il Pil mentre il restante 80% non produce e va a rimorchio.

I conti sballati, il deficit dello Stato, gli sprechi burocratici, l’evasione fiscale, vengono da questo: lo squilibrio profondo del prodotto Italia non è solo contabilità.

Se il suo confine fosse sotto la Toscana, l’Italia funzionerebbe. Quindi o si lascia andare il Sud al suo destino o lo si recupera. Se lo si vuole recuperare, non bisogna creare una nuova cassa del Mezzogiorno, ma offrire opportunità.

Settant’anni fa il Mediterraneo venne cancellato dalla guerra fredda e per far esistere il Sud ci vollero tanti aiuti. Oggi il Mediterraneo è tornato quello che è stato per secoli: la tripla porta di Asia, Africa e Europa, dove occorre viceversa far tornare l’America. In teoria basterebbe aprire questa porta per trasformare la regione e il mondo. In caso contrario, occorre trasformare il Sud in una marca che tiene lontano il caos libico da Ue e Nato, perché il contagio non si diffonda oltre.

Tutto questo significa che per la sopravvivenza dell’Italia bisogna eliminare il Sud o recuperarlo, a scelta: la politica, come la vera medicina, è crudele, perché il medico pietoso fa la piaga cancerosa. Lei, presidente Conte, vuole farlo? Lo sa fare? Ci riesce? Benissimo, allora governi, o qualcuno dovrà farlo al suo posto, altrimenti il divario si approfondirà sempre di più e tutto è destinato a saltare: il Nord Italia, l’Europa, l’alleanza atlantica e il mondo.