I fatti di Capitol Hill sono un evento, secondo Francesco Sisci, giornalista e sinologo, “più grave dell’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001”. L’assalto dei manifestanti pro Trump, aizzati dallo stesso presidente in uscita, ha visto accadere qualcosa di inusitato, che nessuno si aspettava potesse accadere nella “più grande democrazia al mondo”. Ma è anche, ci ha detto ancora Sisci, “qualcosa che potrà avere pesanti conseguenze internazionali, come l’inasprirsi del contrasto con la Cina”.
Come giudica quanto è successo a Washington con l’attacco al Parlamento americano?
L’attacco a Capitol Hill nel giorno dell’Epifania è un episodio più grave dell’11 settembre perché colpisce il centro della democrazia americana, che è anche il cuore dei valori democratici e liberali del mondo moderno. È tanto più grave perché viene dall’interno, avvallato se non sostenuto dal presidente in carica, che non vuole ammettere la sconfitta elettorale e con questo di fatto mina la radice profonda della democrazia, che non è fatta tanto di regole formali quanto dall’accettazione di regole informali, da forme “礼li”, le ritualità direbbero i confuciani, che sostengono tutto l’edificio di ogni democrazia. Se si rompe questo equilibrio di forme, si incrina la democrazia.
Questa incrinatura della democrazia può avere ripercussioni a livello internazionale?
È un enorme pericolo a livello internazionale, perché dimostra una debolezza profonda delle forme attuali della “superpotenza in carica” degli Usa e perché si incrina il soft power della democrazia occidentale davanti a tanti che nel mondo hanno dubbi sulla applicabilità della democrazia e sostengono invece il ricorso a governi autoritari.
L’autoritarismo è quindi un pericolo concreto, non solo negli Usa?
Oggi, inutile girarci intorno, l’autoritarismo è più forte nel mondo. Anche perché l’epifania del 2021 somiglia, prima facie, all’idea di Mao. Il presidente del partito comunista cinese era stato estromesso dal potere reale e quindi istigò direttamente o indirettamente la protesta dei giovani. Oggi Trump dice che i suoi sostenitori non devono usare la violenza, ma non smette di sostenere che le elezioni sono state truccate. Questo è il punto vero che spacca il sistema democratico: iniziare un gioco con delle regole e poi dire che il gioco era truccato quando si perde.
Trump sta usando il “gioco” della democrazia per capovolgerlo? Per usarlo come gli fa comodo?
Come notano commentatori di destra americani, nelle elezioni del 1960 in America c’era stato il sospetto di brogli a favore di Kennedy, ma Nixon ammise la sconfitta per salvare il sistema. Alla fine questo conta davvero: la stretta di mano a fine partita tra i due contendenti. Se non c’è questo, e anzi se chi perde attacca il vincitore, salta tutto e si aprono le porte all’autoritarismo.
Dopo quanto è accaduto, l’America potrà ancora criticare come ha sempre fatto le violazioni democratiche in altri paesi?
Quando l’America protesta contro gli abusi di potere in Russia, in Cina o altrove, è tanto più facile dire con realismo che se quello del 6 gennaio 2021 è la democrazia occidentale essa non è applicabile altrove e forse anche l’America dovrebbe ripensare le sue regole democratiche. Da questo derivano una serie di conseguenze.
Quali?
L’attacco dimostra che il paese è spaccato e questo di solito, storicamente, si risolve con una guerra interna o esterna. Una guerra civile in America in realtà non è possibile. Tutta l’amministrazione è unita e non dà segni di sbandamento, e le milizie armate o disarmate sono marginali, sono una sfida minima di ordine pubblico.
C’è ancora un punto di unità?
Oggi l’America ha un solo punto di unità: il risentimento, le obiezioni, se non l’odio, contro il partito comunista cinese. Questo per fortuna non ha alcun risvolto razziale, ma ha un aspetto ideologico molto forte, che si basa sul vecchio anticomunismo sovietico. Un’America spaccata su tutto, con una parte che crede a ogni tipo di teorie complottistiche, nervosa, ferita internamente, potrebbe scivolare sul crinale pericoloso di uno scontro con la Cina.
Addirittura? In che modo potrebbe accadere e con quali conseguenze?
Ricordiamoci che prima dell’attacco di Pearl Harbour nel 1940 e anche nel ’41 l’America era molto divisa e New York aveva ospitato manifestazioni massicce di gruppi filonazisti apertamente favorevoli a Hitler. L’entrata in guerra ridusse radicalmente e fece andare sottoterra per molti anni le simpatie naziste. Oggi le polemiche con la Cina forse potrebbero funzionare allo stesso modo, specie se ci sono azioni nervose della Cina, che a ragione o a torto l’America considera provocatorie.
La Cina si farà coinvolgere?
Dopo l’epifania del 2021 l’orizzonte di una guerra non semplicemente fredda potrebbe avvicinarsi. Qui la Cina deve trovare il modo di aiutare, sostenere, capire e adattarsi a questi sconquassi americani. In questo modo salva se stessa da uno scontro aspro con gli Usa e può aiutare a salvare l’America da se stessa. Se non lo fa, tutto diventa più pericoloso.
Cosa deve fare adesso l’America per superare questa crisi?
L’America deve ritrovare una unità al centro, minimizzando, se non eliminando, gli opposti estremismi, potremmo dire rubando una frase della vecchia Democrazia cristiana. Naturalmente in America la sinistra radicale non esiste, almeno per gli standard europei, e la destra è decisamente minacciosa, armata, bellicosa, sempre per gli standard europei. Quindi è iniquo comparare i due “estremismi”. Ma direi che c’è anche un problema di retorica e di approccio culturale.
Che cosa intende?
Quando si legge che da sinistra Omero è stato tolto dal curriculum delle scuole perché “sciovinista” o si nega lo studio del Rinascimento perché non ci sono donne, tutto questo in Europa, ma anche in parti dell’America, sembra una cosa da ricovero in ospedale psichiatrico. Sempre in Europa questo fa il paio con quelli che a destra credono che la Terra sia piatta e che la Bibbia vada interpretata alla lettera: sono anch’essi da camicia di forza. Occorre recuperare uno spazio culturale al centro, e combattere questi opposti estremismi culturali. È il ritorno a una delle tradizioni americane più sane, quella del common sense, del senso di realtà, del senso comune, che ci fa capire quando la parola “porta” indica l’uscio di casa e quando invece il passaggio mentale da una fase all’altra.
Trump sembra possa essere cacciato dal suo partito. Quale futuro prevede per lui? Potrà esserci un “nuovo Trump”?
La sfida è cosa fare per prevenire il ritorno in futuro di un altro Trump. La tentazione di irrigidire la legge può essere forte, ma questo in realtà rischia di aprire la porta a tentazioni autoritarie da parte dell’apparato. C’è un problema di fondo che va affrontato: una parte della società americana si sente marginalizzata, scartata dall’apparato, che percepisce come autoreferenziale. Occorre accogliere questa gente, e non semplicemente essere condiscendenti con loro, altrimenti diventano massa di manovra del primo Trump di turno.
In che modo?
Se si inaspriscono i vincoli di legge senza lavorare sulla società si può aprire una fase che il politologo americano Angelo Codevilla intravide qualche anno fa: il passaggio dalla repubblica all’impero negli Usa, come ci fu per l’antica Roma. Qui ci può e deve essere un ruolo forte e importante della Chiesa cattolica e delle altre chiese. L’America è una società profondamente religiosa, molto più dell’Europa, e la Chiesa può giocare un ruolo nel ritrovare uno spazio al centro, di senso comune. Detto questo, non bisogna commettere un errore di valutazione: pur ferita, oggi la democrazia può essere più forte, perché ha affrontato e superato una prova di colpo di Stato come nessun altro grande paese democratico da molti decenni. Le prossime settimane e mesi saranno cruciali.