Il recente scandalo e la crisi sulle nomine al Consiglio superiore della magistratura (Csm) vanno al cuore di una delle questioni più controverse della seconda repubblica italiana: il ruolo della magistratura e la necessità o meno di riformarla.
Da circa due decenni ormai il paese è diviso, a favore o contro i giudici, come argine o meno di una politica corrotta. La corruzione politica era spesso simboleggiata dall’ingresso in politica di Silvio Berlusconi, ma non finiva in lui e con lui.
La divisione però non è stata mai risolta. Né i giudici sono riusciti a imporre la fine di Berlusconi o dei politici corrotti (veri o falsi che fossero), né Berlusconi è riuscito a tagliare le unghie ai giudici.
Per questo, senza vincitori né vinti, lo scontro è andato avanti fino ad ora, quando intorno alla nomina del cruciale procuratore capo di Roma è venuta alla luce una torbida vicenda con patti segreti e scambi di soldi e favori. Tutte cose che mostrano come i magistrati sarebbero corrotti quanto o peggio dei politici.
Forse però bisognerebbe vedere qualcosa in modo diverso.
La Costituzione italiana è un attento artificio di equilibri di poteri, con patti scritti e non scritti che hanno retto il paese fino alla crisi degli inizi degli anni 90.
La Costituzione fu promulgata nel 1948 sull’idea di evitare una concentrazione dei poteri, cosa che aveva portato alla dittatura fascista solo un ventennio prima, tra il 1922 e il 1925. Inoltre tale divisione di poteri impediva la presa di potere dei comunisti del Pci, che costituivano la forza armata maggiore alla fine della Seconda guerra mondiale nel 1945.
Questo patto si reggeva sulla centralità della Dc, partito di maggioranza relativa, condizionato da partiti minori. Tali regole formali erano poi completate da regole non scritte: il veto al Pci e ai neofascisti del Msi di entrare al governo.
I comunisti avevano aderito a questa architettura perché comunque garantiva la loro sopravvivenza politica, cosa niente affatto certa negli anni 40 in occidente. In quegli stessi anni i comunisti greci, molto filorussi, avevano tentato un colpo di Stato che era stato represso nel sangue. Inoltre, probabilmente l’ufficialmente filosovietico Togliatti aveva le sue buone ragioni per temere Mosca e non volerla troppo vicina all’Italia.
I comunisti quindi si rifugiarono in una specie di Aventino sdegnoso, che incoronava il loro capo, Togliatti, come “il migliore” e loro stessi quindi come i più prossimi al migliore. Da lì il Pci cercò di imporre per decenni un’egemonia culturale strappandola alla Chiesa e ai liberali, che erano stati emarginati o si erano compromessi con il fascismo. Ma tale egemonia culturale non cercò davvero mai di diventare politica e quindi restò aerea e irresponsabile, cioè senza responsabilità.
In questo equilibrio formalmente precario ma in realtà molto solido, i giudici erano al servizio dell’ordine costituito (cioè lo Stato democristiano-centrico) e la loro indipendenza costituzionale garantiva loro di potersi muovere a favore dell’ordine dato anche senza un’esplicita direttiva dei politici.
Questo rapporto di indipendenza dalla politica, e lealtà allo Stato al di là dei partiti, fu anche un elemento che permise all’Italia di sconfiggere le varie ondate di terrorismo, rosso, nero e mafioso, mantenendo intatta la democrazia.
Tale stallo durò sostanzialmente fino agli inizi degli anni 90, quando il muro di Berlino crollò, il Pci cambiò nome, gli americani dell’amministrazione Clinton tolsero il veto all’arrivo al potere dei comunisti, vennero cambiate le regole di voto. Il tutto fu coronato dagli omicidi dei giudici antimafia Falcone e Borsellino e dallo scandalo di Mani Pulite.
La fine del veto al Pci e il reclutamento degli ex neofascisti da parte di Berlusconi introdussero un sistema bipolare, ma soprattutto distrussero le basi non scritte della Costituzione.
In un sistema di alternativa di partiti al potere gli eccessivi equilibrismi del sistema italiano da un lato portavano alla paralisi i governi, dall’altra svincolavano la magistratura dall’àncora istituzionale. Se la centralità-inamovibilità della Dc poteva essere sostituita da un partito che era stato di opposizione, la magistratura, indipendente dai partiti, poteva e doveva giudicare da sé qual era l’interesse dello Stato.
In questo nuovo sistema poi le cose si arrovellarono per la presenza di un partito che non era di sistema, ma palesemente a difesa di un’azienda e di un interesse particolare, quello della persona di Silvio Berlusconi. Il partito-azienda e Berlusconi chiaramente non erano lo Stato, ma al massimo una parte che voleva prevalere su un’altra parte.
A questo stadio di sconnessione si arrivò anche con il suicidio della Dc. Era la fine non formale dello spirito della Costituzione, dell’etica che lo reggeva.
I confratelli democristiani tedeschi della Cdu dopo la crisi del muro di Berlino si riciclarono. Kohl fu deposto, la Merkel fu incoronata al suo posto e la Cdu continuò a governare. In Germania c’era già un sistema di alternative di partito con la Spd. In Italia i socialisti non riuscirono mai a essere alternativi alla Dc, o a prosciugare il Pci. Furono solo ancillari alla Dc.
Tale difficoltà sistemica fu moltiplicata forse dalla decisione di Andreotti di resistere agli attacchi dei giudici e non dimettersi a favore di un suo delfino (come Kohl fece con Merkel), cosa che travolse alla fine la Dc insieme ad Andreotti.
A questo momento si arrivava poi con una doppia perdita per la Dc e per l’Italia alla fine degli anni 70, la morte di Moro e di papa Montini.
Moro, come De Gasperi prima di lui, era un leader filosofo che aveva concepito l’idea (che alla fine si rivelò vincente) di convertire, “corrompere” i comunisti, non di affrontarli di petto, come racconta giustamente Calogero Mannino. Ciò era valido per i comunisti italiani e per i comunisti mondiali.
Con Montini poi moriva l’ultimo papa italiano (Giovanni Paolo I fu solo una parentesi) e i suoi successori guardarono sempre più al mondo e meno all’Italia.
Andreotti, grandissimo manovratore, splendido cardinale, ma non filosofo o papa, forse aveva perso con Moro un sistema di pensiero creativo che avrebbe dovuto ricostruire il paese in un momento di enorme crisi. Ciò mentre americani ed europei stavano cambiando tutti i rapporti bilaterali e multilaterali.
Tale mancanza di grande pensiero che dovrebbe guidare la rifondazione del paese resta tutt’ora. Nel frattempo però il sistema dei partiti FI (contro i giudici) e PD (per i giudici) si è sfaldato senza grandi eredità. I nuovi partiti, M5s e Lega, splendidi tattici, paiono incapaci di pensiero strategico. Ciò ha lasciato i giudici di fatto senza amici o nemici “naturali” (come fu Berlusconi ad esempio), mentre entrambi avrebbero potuto aiutarli a reggersi.
Quindi cosa sono? Perché agiscono, se non c’è un giusto o un ingiusto? Si muovono solo per sé stessi?
Esso sembra il vero, profondo motivo dello scandalo attuale intorno alla procura di Roma. Al di là di possibili reati, infrazioni disciplinari o etiche, resta l’ombra profonda: perché brigavano? Per un’idea alta di giustizia? Oppure era per soldi e potere in proprio? In tal caso sono corrotti come e peggio dei loro nemici.
Parlarsi per una nomina, anche dare peso a un dossier e non un altro, è normale in ogni paese. Ma se manca il sistema etico di riferimento, se non c’è più lo spirito della legge, tutto diventa pura guerra fra bande. Ed è proprio questo forse lo scandalo profondo di quello che accade intorno al Csm in questi giorni.
Il problema quindi è la ricostruzione del Paese, ed entro questa ricostruzione va tutto ripensato.
In teoria ci vorrebbe una costituente, ma essa fu possibile perché c’erano pressioni internazionali a trovare una conciliazione (Usa e Urss non volevano trasformare l’Italia in un campo di battaglia, almeno non nel 1946) e persone di grande qualità intellettuale ed etica.
Oggi mancano entrambi e sarebbe un miracolo riuscire nel breve periodo ad avere soltanto un lieve aggiustamento costituzionale. Ma questo non basta più, come dimostra la vicenda del Csm attuale e come forse proverà con forza la crisi finanziaria ed economica che potrebbe colpire il paese fra fine luglio e l’inizio dell’anno prossimo.
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L’autore sta pubblicando in cinese “Storia d’Italia con caratteristiche cinesi”. Una versione è in corso di traduzione anche in inglese.