Mentre si parla sempre più intensamente di ritorno dell’emergenza sanitaria e di lockdown totale del paese, forse occorre ripensare l’ordine delle cose. Il problema grave per l’Italia oggi non è tanto quello sanitario, ma quello economico e politico.

Perché c’è confusione e allarme per la situazione sanitaria in Francia ma lì non ci sono proteste e in Italia sì? Perché lì i gilet gialli sono spariti e qui sono arrivati con proteste disordinate e teppistiche che hanno illuminato le notti di molte città negli ultimi giorni? Qual è oggi la differenza tra Francia e Italia?



La situazione sanitaria in Francia è forse peggiore che in Italia, ma in Francia ci sono piani per il rilancio economico del Paese, presentati già a Bruxelles, e c’è un governo che funziona.

In Italia la situazione sanitaria è forse migliore ma non ci sono piani veri per la ripresa economica; il governo alla fine dell’anno avrà bruciato cento miliardi in sussidi e cassa integrazione, senza idee di sviluppo, e tutto sulle spalle della Banca centrale europea, che non potrà andare avanti ad acquistare titoli all’infinito; i centri delle città, una volta salotti della nazione, oggi sono un cimitero di negozi chiusi che in molti casi non riapriranno più.



In otto mesi Piazza Affari ha bruciato 25 miliardi di valore e alla fine dell’anno il rapporto debito pubblico/Pil potrebbe arrivare al 200%. Se non oggi o domani, dopodomani arriverà il redde rationem con il crollo generalizzato. A meno che non si prepari una diga.

Quindi in Francia si può fare affidamento su un progetto politico-economico, in Italia no. Il mix di débâcle sanitaria e débâcle economico-politica può essere fatale per un paese.

Ciò significa che se il discorso si ferma sulla sanità, si confonde il dito con la luna. La peste del 600 a Milano, quella raccontata da Manzoni, fece più morti con gli assalti ai forni che con i bubboni passati dagli effluvi fatali, e così è stato per tutte le pesti della storia.



Oggi la moderna sanità cura meglio la peste attuale, ma a prezzo di costi forse ancora maggiori su economia e politica. Occorre investire per una sanità migliore e per creare nuovi posti di lavoro. Ieri semplicemente non c’erano i mezzi, oggi, rispetto ai secoli scorsi, ci sono organizzazioni finanziarie in grado di mobilitare risorse che ieri erano impossibili ma c’è sempre bisogno di un progetto.

Oggi come in passato le epidemie sono occasioni per rilanciare un paese o affossarlo. La peste del VI secolo distrusse le ambizioni dell’imperatore bizantino Giustiniano, quella del XIV secolo aprì le porte al Rinascimento.

Per questo la vera grande sfida italiana è politico-economica. Nell’Asia di tradizione sinica, nella stessa Cina ma anche in Corea, Giappone, Taiwan, paesi con una tradizione di Stato più strutturato e organizzato, la risposta è stata migliore.

In Italia in particolare e in occidente più in generale occorre avere nuovi progetti politico-economici per il futuro che viene dopo la peste.

In particolare in Cina, ma anche in Corea o altrove in Asia non ci sono stati chiusure generalizzate ed eguali per tutti. Anche a febbraio, quando la Cina si è fermata e bloccata, non ovunque tutto si è fermato allo stesso modo. Wuhan, l’epicentro del Covid, era serrata con ronde di polizia per evitare che la gente uscisse per strada, ma a Pechino, anch’essa deserta, le regole erano più lasche.

In Italia la chiusura sembra essere diventata il terreno di scontro politico tra maggioranza e opposizione, tra governo centrale e regioni. Questo appare pazzesco e forse è anche criminale.

Ovviamente la responsabilità ultima è del governo centrale, che solo ha gli strumenti per applicare le misure necessarie. Nascondersi dietro cavilli giuridici da azzeccagarbugli in questo momento è forse politicamente assassino, perché comporta poi la morte di malattia o di stenti di tante persone.

Se si pensa che in questa situazione ci voglia una responsabilità condivisa allora, come in tante emergenze, ci vuole un governo di unità nazionale.

Ma in linea di principio, come è accaduto in Asia e in Cina, si dovrebbero bloccare i comuni, le zone di una grande città in pericolo, non le regioni e neppure tutto il paese. Si tratta di misure di difficile attuazione, specie poi se, come oggi, mancano piani di rilancio politici ed economici che diano fiducia sul futuro.

Una proibizione uguale per tutti è la scelta più facile, ma così si danneggia il paese malato insieme alla malattia. Bisogna salvare il malato e distruggere la malattia. Se si distrugge il malato insieme alla malattia, il medico, in questo caso il governante, ha fallito.

Perché l’Italia è a questo punto? Si direbbe per un mix di incompetenza e ambizione: volere rimanere al potere a tutti i costi. In ciò si vede certamente l’opera di un genio della comunicazione, Rocco Casalino, in un governo senza geni. Forse è questo il nodo superficiale e insieme profondo, il punctus puncti scolastico, da affrontare.

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