Care madamine italiane, visto dalla Cina il catalogo è questo.
Ilva a Taranto, la più grande acciaieria d’Europa, dove è in gioco tra l’1,5% e il 3% del Pil. Può essere chiusa e come minimo viene dimezzata. La Puglia salterebbe come un birillo e darebbe inizio a una crisi finanziaria nazionale.
Unicredit, la prima o seconda banca italiana, che ha annunciato 5mila licenziamenti e la chiusura di un centinaio di filiali. Ha già venduto gli investimenti all’estero, la finanziaria Pioneer, la sede storica, i quadri, e impone già tassi negativi ai risparmiatori. È a evidente rischio di saltare, mettendo in pericolo centinaia di miliardi di asset.
Alitalia, a cui è stato dato un nuovo prestito ponte a sei mesi. Non ci sono prospettive di rilancio, ha già bruciato decine di miliardi e non si sa a cosa possa servire il nuovo prestito.
Le infrastrutture: ponti e strade crollano per un temporale un po’ più forte o un terremoto di entità in effetti modesto, come quello di lunedì nel Mugello. Secondo alcune stime ci vorrebbero 40-60 miliardi per rimettere tutto a norma.
Il Mes, il meccanismo di salvaguardia europeo, oggi al centro di tante polemiche. L’anno scorso di questi tempi l’allora ministro Paolo Savona fece una proposta alternativa al Mes, ma non trovò sponde o orecchie tra i leader di M5s e Lega Luigi Di Maio e Matteo Salvini, che oggi vogliono dire no al meccanismo di salvaguardia. Perché non lo fecero allora? E perché nessuno chiede loro conto del silenzio di allora?
Sono problemi enormi che avrebbero bisogno di idee concrete su come rilanciare il Paese e quindi trovare iniziative e risorse per far fronte allo tsunami in corso.
Davanti a tutto ciò, cosa sta facendo il governo di Giuseppe Conte? E che cosa sta facendo l’opposizione, che pare solo solo concentrata sul voto regionale in Emilia-Romagna?
Basta sommare il breve elenco e si nota a vista d’occhio che il conto potrebbe superare le centinaia di miliardi, che non ci sono.
La verità è che l’Italia sta precipitando in un pozzo senza fondo. La lotta contro l’immigrazione di Salvini o del movimento delle sardine contro Salvini sono questioni reali, perché dividono su come affrontare un dramma che sta cambiando il Paese. Ma alla luce dell’elenco appena fatto, paiono giochi di distrazione di massa.
Perché con questi drammi non si cerca di smuovere le acque e andare al voto anticipato? Perché Salvini non va a Taranto e presidia l’Ilva? Perché non chiede ragioni di Unicredit, dei ponti, di Alitalia?
Il governo e il parlamento sembrano viaggiare in una nuvola, preoccupati solo di prendere lo stipendio a fine mese. Dai professionisti della politica sembra si sia passati ad allucinati tossicodipendenti della politica: i problemi non importano, vivo nel mio mondo col solo orizzonte di un altro stipendio e di evitare le elezioni anticipate.
Infatti nelle ultime tre elezioni politiche il 40 per cento del corpo elettorale ha cambiato le proprie intenzioni di voto. In queste condizioni il 90 per cento dei parlamentari non è sicuro della sua rielezione. Per tutti costoro altri due anni e mezzo a Montecitorio significano 500mila euro netti: una fortuna, specie per i tanti che a fine legislatura potrebbero prendere meno di 10mila euro all’anno.
Il debito pubblico è alto, ma i tassi sul debito sono bassi, i risparmi degli italiani sono alti e il surplus commerciale florido. I soldi per gli investimenti non ci sono, ma almeno una certa fetta di italiani, l’Italia che produce, resta ricca.
Tutto può impazzire se arriva una crisi internazionale che fa schizzare i tassi di interesse. Ci sarà? Nessuno può saperlo. I parlamentari dichiarano scetticismo, anche per tutelare i loro interessi. E se scoppierà, sarà colpa del mondo, del diavolo, del bieco destino, della sfortuna… Mai della loro impreparazione.