Vista dall’esterno la situazione italiana sembra a uno snodo culturale e spirituale molto importante: il paese ha perso il senso della tragedia per ingannarsi ogni giorno con le comiche. Certo vivere sempre nella tragedia crea uno stato di ansia spesso artificiale che fa perdere il senso della realtà, per questo il comico ci riporta con i piedi per terra.



Ma la tragedia (vedi Hal Brands and Charles Edel, The Lessons of Tragedy, Statecraft and World Order, 2019) mostra il pericolo e allertando la gente del dramma prossimo dà anche un’indicazione su come uscirne.

Dopo la seconda guerra mondiale l’Italia produsse tragedie con il neorealismo. C’era il senso di allarme per il pericolo passato e quello che si parava davanti. Poi arrivarono le commedie all’italiana, che portarono un senso di equilibrio.



Ma negli ultimi 30-40 anni la tragedia sembra scomparsa dall’Italia, seppellita da una valanga di farsa, scenette e commediole. Oppure è diventata spesso seriosa e sussiegosa, o anche si è mutata in una specie di neo-apologia del male perenne e imbattibile, come con le peraltro bellissime serie tv Suburra o Gomorra dove lo Stato è un orizzonte di carta velina e i protagonisti sono solo i delinquenti sanguinari.

In questo orizzonte, che certo meriterebbe un approfondimento bel al di là di queste quattro righe, nascono due ordini di problemi per i quattro protagonisti della politica italiana del momento.



Il primo è che si è persa l’idea di cosa sia essere di “sinistra” o di “destra”.

A sinistra, per esempio c’è il crollo del benessere delle classi medie e l’allargamento di una società di immigrati regolari (forse anche 3 milioni) che pagano le tasse ma non votano e quindi si rompe la base democratica italiana (no taxation without representation), ma che “compete” con l’ex classe media impoverita. D’altro canto in tale classe media impoverita ci sono molti pensionati che non contribuiscono più alla crescita del paese ma votano.

Sono problemi sociali immensi che non possono essere affrontati con 80 euro, aumento di salari ad hoc, ma hanno bisogno di risposte articolate.

Lo stesso vale a destra. Per esempio c’è lo scadimento dell’ordine di base delle città grandi e piccole, e della pulizia di ogni tipo della vita pubblica, c’è il senso di sicurezza personale in crisi, la minaccia ai risparmi privati per l’economia che praticamente ha smesso di crescere da 15 anni, il cambiamento del tessuto sociale italiano per l’arrivo di milioni di immigrati con culture e sensibilità diverse. Questi sono temi veri che non possono essere risolti con urla e proclami.

Ma questa mancanza di profondità a “sinistra” o a “destra” (comunque rappresentata) porta al secondo grande problema: la corsa quasi universale a slogan faciloni, dichiarazioni irresponsabili che non hanno contatto con la realtà, cose che rafforzano il generale senso di farsa (che pronunciato alla cinese potrebbe suonare “falsa”) mentre la situazione italiana e internazionale dovrebbe spingere verso un senso di tragedia vero.

In questa prospettiva sconosciuta di lungo termine si collocano le gesta dei vari politici, costretti da orizzonti sempre cortissimi, e quindi incapaci di affrontare anche solo il medio termine. Le loro risposte, a dieci giorni dal voto delle europee, appaiono tutte minime e ruotano intorno all’opportunismo del voto politico anticipato.

Il partito di maggioranza relativa, il M5s, è in crollo, e tante persone per bene, in Italia e fuori, che vi avevano riposto speranze, lo hanno abbandonato. I loro parlamentari lo sanno e non vogliono andare al voto per timore di perdere il “posto fisso” per cinque anni. Quindi, al di là di ogni proclama ideale, oggettivamente sono interessati a tirare avanti il più a lungo possibile, con ogni scusa possibile, per non andare al voto.

Il Pd è in recupero ma di poco, e sicuramente oggi non potrebbe e non vorrebbe vincere forse per due ragioni. Il suo capo Nicola Zingaretti non è padrone della situazione. È leader di una coalizione interna divisa di vecchi leader che tirano ciascuno da una parte diversa. Con queste debolezze il Pd non vuole essere di nuovo quello che si assume il pesante incarico di fare una finanziaria lacrime e sangue. Quindi forse vuole andare al voto per spingere gli altri ad assumersi le proprie responsabilità.

FI di Silvio Berlusconi sembra sempre più in rotta di convergenza con gli uomini di Matteo Renzi per creare una specie di “vecchio ma nuovo” centrato su personalità carismatiche. Ma il carisma riuscirà a prevalere sulla proposta politica? Essa è debole e dice in sostanza: noi siamo professionisti, gli altri no. Forse il duo Berlusconi-Renzi non pensa davvero di vincere, ma di ottenere quel tanto di forza che basta per sedersi ai tavoli, e nel caso del Cavaliere a proteggere le sue reti tv in lento declino strutturale per la crescita verticale dei nuovi media. Un voto presto ha vantaggi e svantaggi.

La Lega di Matteo Salvini fino a ieri era il partito che più di ogni altro voleva il voto anticipato per realizzare quello che i sondaggi dichiaravano fosse la sua ascesa verticale. Oggi però quei sondaggi registrano un calo netto e questo scombina tutti i calcoli. Un voto anticipato e una presumibile vittoria leghista al 30% sarebbe un successo per la Lega, ma anche, almeno in parte, un colpo per Salvini, che sarebbe obbligato a governare sempre con M5s o con FI. Il tutto con una pesante crisi finanziaria in arrivo. Allora forse meglio aspettare. Ma ad aspettare, la Lega difficilmente invertirà l’attuale tendenza in calo, a meno di una radicale inversione di rotta salviniana verso il centro. L’operazione però, a questo punto, forse regalerebbe spazio a Fratelli d’Italia.

Davanti a tutti c’è poi la tempesta annunciata: una crisi finanziaria che dovrebbe colpire l’Italia nei prossimi 12-18 mesi. Nessuno dei partiti oggi vorrebbe incaricarsi di affrontarla, né sa politicamente cosa significa per il paese.

Questa incertezza politica ovviamente aggrava le prospettive economiche. Una via d’uscita da qui è difficilissima ma certo passa da una mossa necessaria: basta comiche, l’Italia ha bisogno di senso della tragedia, perché è questo che la aspetta.

Certo, come mi diceva 25 anni fa il grande Gianni De Michelis, la politica vera è conciliare i grandi orizzonti con gli sporchi traffici quotidiani. Quindi il problema vero è: come parlare di tragedia con questi protagonisti travolti dai calcolucci del giorno per giorno? Se l’alchimia però non si compie, il prossimo anno non appariranno orizzonti migliori.