I governatori delle Regioni italiane sono in lotta tra di loro: Fontana in Lombardia e Zaia in Veneto vogliono riaprire il 4 maggio, mentre De Luca in Campania dice che chiuderà i confini se gli altri li aprono. Ognuno, evidentemente, pensa di assumere l’iniziativa indipendentemente dal governo centrale.
A Roma ci sono la commissione di Arcuri, quella di Colao, il capo della Protezione civile Borrelli, forse una ventina di comitati di esperti con oltre 300 specialisti al lavoro; infine, c’è il governo presieduto da Giuseppe Conte con i suoi ministri. Non è chiaro chi decide cosa e chi debba decidere cosa, soprattutto perché riaprire il 4 maggio e non il 1°, e poi come e con quali criteri.
Intanto, il petrolio ha perso in un giorno oltre il 120% del suo valore, con il prezzo del barile addirittura sotto zero, segno che le aspettative di ripresa economica mondiale sono lontane. Dow Jones ha aperto così con un crollo di 450 punti.
Inoltre, in merito al fondo di aiuto europeo, su cui l’Italia dovrebbe firmare giovedì, il premier Conte ha ribadito che non firmerà, ma si capisce che forse firmerà. Al Parlamento europeo, la settimana scorsa, il Movimento 5 Stelle ha votato contro e il Partito democratico a favore, pur essendo entrambi partner di governo. Anche la Lega è contro. Risultato: in Europa non è chiaro quello che l’Italia vuole.
In realtà, il problema non è tanto il Mes, su cui alla fine si troverà un compromesso all’italiana, ma la questione della riapertura del 4 maggio, cioè appena fra due settimane, un niente per i tempi dell’economia normale. Nessuno sa cosa succederà in Italia quel giorno.
Tre sono i problemi che si intrecciano fra loro: l’epidemia, che non si sa quando sarà messa sotto controllo; la recessione economica mondiale, ormai chiaramente la più grave della storia del capitalismo; lo scontro strategico tra Usa e Cina, che sta cambiando tutti i paradigmi della politica globale.
I tre problemi sono incastrati l’uno dentro l’altro e occorrerebbe pensarli e affrontarli in un quadro d’insieme per dominare la situazione. Ma è necessario prendere decisioni concrete, a cominciare da un giudizio preciso, magari anche sbagliato, sulla situazione del virus per poi portarlo avanti. Inoltre, in Cina il governo si sta preparando alla fase 2, cioè a quando l’epidemia tornerà con violenza nell’autunno prossimo. Quindi continuano a essere applicate misure di prevenzione e isolamento severe, mentre ci si prepara ad agire contro eventuali ritorni di fiamma del Covid. Dopo che la regione dello Hubei è stata “liberata” dal virus, l’epidemia è infatti riesplosa nella regione dello Heilongjiang.
L’Italia si sta preparando a nuovi focolai della malattia dopo l’eventuale riapertura del 4 maggio? Come? E quali sono le precauzioni previste per l’autunno, quando l’epidemia tornerà con violenza? Ancora: nel migliore dei casi il vaccino sarà pronto a dicembre; qualcuno lo produrrà in Italia? O dovrà essere acquistato dall’estero? Come verrà somministrato? Si stanno studiando delle priorità, alla luce del fatto che vaccinare 60 milioni di italiani non sarà certamente semplice?
Questo, ovviamente, nella migliore delle ipotesi, cioè che il vaccino si trovi e sia efficace. È possibile, però, visto che il virus si è molto diffuso e sta, sembra, mutando, che la vaccinazione di massa non sia risolutiva. Quindi nuovi focolai potrebbero accendersi e spegnersi nei prossimi due o tre anni. Cosa pensa di fare l’Italia in questa prospettiva? Come si dovrà convivere con il virus nel prossimo futuro?
Non sono domande scomode, sono questioni a cui alcuni grandi paesi, tra cui la Cina, che adesso è tanto di moda in Italia, stanno cominciando a dare delle risposte. E poi mettiamo che Germania, Francia e Spagna si preparino al ritorno del virus, mentre l’Italia continua a cincischiare: se a ottobre in Italia l’epidemia riesplode violentemente, mentre altrove resta sotto controllo, allora che cosa potrebbe accadere? Roma viziosa potrà pretendere aiuti dai vicini virtuosi? Come? Perché? E gli altri paesi come reagiranno?
Sono domande precoci, ma che riportano tutte alla questione del 4 maggio. Guardando le cose da oggi, l’Italia alla fine o riaprirà o chiuderà, e alcune Regioni resisteranno, nei fatti, comunque. Improbabile pensare che Roma possa imporre a Lombardia o Campania di obbedire: in tal caso, con quali mezzi e modi? Roma può mandare l’esercito o i carabinieri a Milano o a Napoli? Madrid ha fatto ricorso a questa azione di forza contro la Catalogna indipendentista, ma in Italia è molto più difficile.
Dobbiamo aspettarci un’evoluzione a macchia di leopardo, in cui le incertezza aumentano e con esse arriva un progressivo svuotamento dell’autorevolezza del governo centrale.
Occorrerebbe invece recuperare subito tale autorevolezza, perché l’emergenza non finirà tra 15 giorni. E in una crisi che durerà, nella migliore delle ipotesi, ancora molti mesi il Paese potrebbe sprofondare nel caos.