La formula di governo del premier Mario Draghi è: tirare dritto. Sulle vaccinazioni irrita la gamba destra dell’esecutivo. Draghi le vuole, mentre il leader della Lega Matteo Salvini sarebbe più possibilista. Accarezza in contropelo anche la gamba sinistra che lo sorregge, M5s e Pd, sulla giustizia. Sostiene con un voto di fiducia la riforma della giustizia della ministra Marta Cartabia, mentre il leader pentastellato Giuseppe Conte presenta 950 emendamenti.



La logica non è di potere o elettorale ma semplicemente economica: senza vaccinazioni, dice Draghi, la gente muore, si deve richiudere, e si fermano produzioni e consumi. Senza abbreviare i tempi della giustizia non arrivano gli aiuti dalla Ue e il paese va in bancarotta.

Sono decisioni di senso comune talmente ovvie che non avrebbero dovuto nemmeno fare intervenire il premier. Ma se Draghi è intervenuto, questo dimostra una serie di cose.



La prima: non gli importa di piacere per 5 minuti al volubilissimo pubblico dei tweet. La seconda: la politica italiana che insegue questa volubilità come se fosse l’ultimo influencer che passa, ed si dimentica della realtà, è tecnicamente psicotica. Cioè come per i matti dei vecchi manicomi, la politica non distingue tra comunicazioni reali e comunicazioni simboliche. In questo caso, certo, i vaccini sono un’alea, certo la riforma della giustizia è meno che imperfetta, ma occorre portare l’asino alla paglia e non affamarlo come quello di Buridano tra mille campane.

In questo Draghi oggettivamente ha un fascino forte sul pubblico di “destra” perché è autorevole senza essere autoritario, decide senza ammantarsi di decisionismo.



Funziona meno tra una certa “sinistra”, che in Italia si è innamorata di situazioni che devono essere “perfette o niente”. Quindi, dato che il perfetto non esiste, preferisce il niente, il rinvio infinito.

Tale sinistra è forse per questo innamorata di Conte, che rinvia tutto sempre, quasi con il retro-pensiero che tanto la perfezione non è di questo mondo e allora “tanto peggio, tanto meglio”.

In questo Draghi vince tra la gente, perché dopo anni di progressiva caduta in un clima di follia crescente, offre un bagno di realtà nel mezzo della tragedia più grande dal dopoguerra. Ma evidentemente non convince tutto il parlamento.

Qui sta il punto vero: vincerà la realtà o la follia? Finora la follia è stata frenata dal senso di realtà più crudo: deputati e senatori vogliono continuare ad avere lo stipendio e quindi si sono fermati sempre un minuto prima di fare cadere Draghi, che ha rappresentato la loro assicurazione contro il ritorno al voto.

Ma nei prossimi sei mesi, quando il parlamento sarà ulteriormente deresponsabilizzato perché il Capo dello Stato non può sciogliere le camere, le forze della pazzia potrebbero passare dalle parole ai fatti. Senza timori di ritorno alle urne, qualcuno potrebbe scegliere di far cadere Draghi, con l’idea che tanto un altro governo si fa per forza e che il consenso si costruisce sulla presenza a Palazzo Chigi. E questo risolve tutto perché tanto la Ue “non ci farà fallire”.

È un piano che appare folle, ma del resto sono folli tante delle continue obiezioni al governo; e in tale follia, come spesso accade, c’è una visione lucida.

Se Draghi continua a governare per altri sei mesi, che vada o meno al Quirinale i risultati del senso di realtà potrebbero avere effetti devastanti per forze che chiamano “draghi” i mulini a vento. Non si può negare, di conseguenza, il timore che i prossimi sei mesi siano di montagne russe per l’Italia, mentre i primi soldi da Bruxelles magari non sono arrivati, l’inflazione comincia a farsi sentire e la minaccia di una quarta ondata di Covid diventa sempre più concreta.

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