Quando venne lanciato, pareva ovvio: il referendum se approvare o bocciare la riforma sulla riduzione dei parlamentari sarebbe stato un plebiscito, da far passare con maggioranze del 99%.

Con il passare dei giorni invece, mentre i sondaggi continuano a dare il Sì (cioè approviamo la riduzione dei parlamentari) in vantaggio, il No (non vogliamo la riduzione) pare in recupero.



I sostenitori del No dicono in sostanza che si tratta di una riforma squilibrata, che non ha senso senza una riforma più ampia della Costituzione.

Inoltre non c’è il dibattito energico dei tempi del referendum costituzionale voluto dall’allora premier Matteo Renzi. Il governo non si è schierato nettamente con il referendum né l’opposizione è nettamente contro; in ogni caso alcuni vedono anche questo voto quanto meno come un dispetto all’esecutivo.



Così il referendum non appare più con un risultato così scontato, né il senso politico del voto sembra del tutto semplice.

La richiesta di ridurre i parlamentari aveva un senso politico generale. Nel momento in cui agli italiani vengono richiesti sacrifici immani, allora anche i parlamentari venivano ridotti per dare un segnale. Inoltre un numero minore di parlamentari avrebbero dovuto dare maggiore efficienza al sistema, nell’ambito di una riforma costituzionale complessiva.

Oggi entrambi questi ambiti sono assenti dal dibattito. Nessuno parla di riforma della Costituzione, cosa che avrebbe bisogno di un consenso ampio, mentre oggi il paese è estremamente diviso.



Inoltre anche se l’economia sta subendo una contrazione senza precedenti dai tempi della guerra, nessuno parla dei sacrifici attuali e futuri richiesti alla popolazione e molti guardano invece ai miliardi che dovrebbero arrivare come una pioggia dorata sulla testa di tutti.

In questa bolla d’aria il referendum comincia a vivere di forza propria. Padri nobili esponenti della sinistra italiana, come Romano Prodi o Arturo Parisi, o il quotidiano Repubblica si esprimono per il No. Si tratta di scelte che spaccano nei fatti il consenso dietro il governo, così come tale consenso è minato dalle critiche del presidente di Confindustria Bonomi.

Tali posizioni non trovano traino nell’opposizione, dove le maggiori formazioni Lega e Fratelli d’Italia invece restano più ambigue. Il paradosso quindi è che sembra crearsi uno spazio che per convenienza e praticità potremmo chiamare “anti-populista” all’interno di un governo e parlamento che è a maggioranza “populista”.

Si tratta di un fenomeno trasversale, che ha forse il difetto di apparire “conservatore”, cioè di non proporre una dimensione diversa, quando tutto sembra sul punto di cambiare in Italia e nel mondo. In queste tre settimane di distanza dal voto però potrebbe esserci spazio per allargarsi e almeno cominciare a prendere un aspetto più propositivo.

Difficile che il No diventi altro in questi pochi giorni. Ma è interessante che il fronte del Sì appaia viceversa in affanno, non impegnatissimo nel referendum. Tutti sono invece solo alla rincorsa di un risultato alle amministrative. Esso sarà certo importante, forse però sul referendum potrebbero emergere elementi di novità.