Questa settimana il governo appare a un incrocio della storia. Se il premier Giuseppe Conte ottiene mano libera nel voler fare il suo direttorio per gestire i fondi Ue, allora si rafforza: con quei soldi prende possesso del paese, e come conseguenza Renzi con la sua Italia Viva, Salvini e la sua Lega ma anche Nicola Zingaretti e il suo Pd sono tutti politicamente morti (oppure vivranno solo in funzione del mercato dei favori che riusciranno a strappare a Conte).
La situazione è estremamente delicata anche perché questi fondi non sono il piano Marshall del dopoguerra. Quelli erano soldi che gli americani davano ai loro alleati nei vari paesi nel quadro di un progetto di ricostruzione ispirato a un capitalismo sociale.
Nel caso dell’Italia i soldi andavano al governo centrato sulla Dc e i suoi satelliti. I nemici degli Usa di allora, Pci e Psi, non potevano entrare nella gestione.
Questi invece sono soldi dell’Europa all’Italia, e quindi da dare a tutti, non solo al governo in carica. Quindi tutti dovrebbero partecipare alla gestione. Ma manca un progetto, uno scopo su cosa fare. Infatti fino ad oggi circa 100 miliardi di euro sono stati distribuiti a pioggia dalle misure anti-crisi del governo Conte senza un’idea chiara.
Se le cose continuano così fino a giugno, quando la Banca centrale europea potrebbe smettere di comprare i titoli del tesoro italiano, potrebbero essere stati spesi altri 50-60 miliardi. Questi, sommati ai 209 promessi, porterebbero il totale a 370-380 miliardi, quasi il 20% del Pil.
In teoria ci vorrebbe un progetto condiviso da tutti, visto che i soldi sono di tutti. Ma la debolezza della politica italiana non produce un progetto né un accordo di tutti.
Per ovviare a questo intoppo enorme, Conte, premier non eletto in parlamento, ha pensato di nominare un direttorio, anche non elettivo. Se riuscisse in questo suo proposito, la democrazia italiana sarebbe cambiata.
Senza il direttorio, cioè senza soldi, senza partito e con appoggi esterni sempre più labili, Conte è invece come una foglia al vento e potrebbe cadere, come si mormora ormai intensamente da più parti. Quindi che cosa succederà?
Questo sembra essere il nocciolo della crisi in corso, una questione di potere e sopravvivenza politica al di là della questione di quanto il direttorio sia in realtà un vero scavalcamento dell’istituto democratico e costituzionale del parlamento. Su tale problema, che forse in altri paesi avrebbe fatto insorgere l’opinione pubblica, c’è una specie di disattenzione diffusa.
Il paese sembra ormai stanco della democrazia deviata dell’incompetenza allo sbaraglio e sembra esserci un’accettazione sopita, ma reale, dell’opportunità di sostituire mille parlamentari con 300 illuminati nominati. Sembra di essere tornati ai parlamenti di nomina regia, dove tutto il processo repubblicano era visto come una specie di sediziosa perdita di tempo.
Del resto, i 5 Stelle che sostengono Conte e questo suo piano sono gli stessi che hanno contribuito a svuotare il parlamento di senso e dignità, riempiendolo di avventurieri scelti a caso.
Possono essere i cicli della storia, e il ritorno a un governo autoritario potrebbe essere ciò di cui il paese ha bisogno. Hanfei zi nel III secolo avanti Cristo insegnava a guardare il potere in faccia per quello che è, nella sua crudezza, al di là delle istituzioni, dei patti, degli accordi.
Qui nella sua crudezza c’è però il nodo di potere vero. Possono i parlamentari, che rischiano di perdere tutto con il direttorio di Conte, fare tale concessione? E perché?
Fino a qualche giorno fa la narrativa del motivo sostanziale era la mancanza di alternative. Non si poteva andare alle elezioni, per Covid e instabilità istituzionale; non si poteva rischiare di riportare Salvini direttamente al governo, perché sgradito in Europa, e quindi ci si votava a Conte.
Negli ultimi giorni però si sta rafforzando la possibilità di un governo di Mario Draghi o che porti a bordo Mario Draghi, sostenuto da una maggioranza più ampia di quella attuale. Essa potrebbe andare a raccogliere voti a destra e magari deciderebbe definitivamente di sancire almeno una spaccatura del M5s, dove non tutti sono dietro Conte.
A questo punto non solo questo governo non servirebbe, ma sarebbe anche dannoso, visto che finora non ha brillato per efficienza in alcun campo.
Può anche essere che tutto però invece prenda una piega diversa. È possibile che davanti al rischio di una crisi di governo i vari attuali sovvertitori dell’ordine dato facciano un passo indietro; può darsi che Draghi non sia disposto a imbarcarsi in un’avventura dagli esiti molto incerti a 72 anni e con un corso di onori glorioso alle spalle.
In questo caso il pallino rimarrebbe in mano a Conte. Nella somma delle incertezze italiane, almeno per ora nulla è chiaro.