Con la scelta di affidare un mandato a Mario Draghi, la personalità politica italiana oggi con il più alto profilo internazionale, l’Italia rientra nei binari globali dopo esserne uscita nei fatti da molti mesi.

Immodestamente, dall’inizio della crisi del Covid su queste pagine avevamo avanzato la candidatura Draghi per un motivo semplice. Proprio guardando all’esempio cinese, l’Italia avrebbe dovuto già a febbraio-marzo, quando l’epidemia sbarcava nel paese, concentrarsi su due fronti: spendere tutte le risorse attuali nella sanità e programmare grandi progetti di rilancio economico.



Il governo di Giuseppe Conte non ha fatto né l’uno né l’altro e ha preferito distribuire risorse, forse un po’ a casaccio, per aiutare tizio o caio, ma senza alcuna direzione chiara. Questo non ha portato risultati. L’economia ad oggi è senza prospettive e la posizione internazionale dell’Italia è confusa, avendo poi rinunciato a una propria politica in Libia a favore di Russia e Turchia.



In Cina lo sforzo iniziale sulla sanità e poi su piani produttivi precisi hanno portato il paese fuori dalle secche sociali ed economiche dell’epidemia.

Proprio Draghi al Meeting di Rimini a fine agosto scorso aveva avvertito del debito buono, quello che promette crescita, e quello cattivo, che non darà frutti.

Oggi, quando siamo quasi ai tempi supplementari, il piano per il Recovery atteso dall’Europa non è stato ancora presentato e mille spaventose contraddizioni sociali stanno per scoppiare. Proprio per questo Conte è stato fatto mettere da parte per far posto a Draghi, che ha la credibilità e l’esperienza per dialogare con Ue e Usa.



Ciò che va fatto e rimettere l’Italia sui binari di una collaborazione alla crescita globale. L’Italia potrà usufruire di una quantità senza precedenti di fondi da indirizzare in opere concrete, utili per se stessa e per l’Europa.

Il risultato di oggi dimostra che in realtà la crisi politica scatenata da un paio di mesi, al di là dei forse inevitabili personalismi italiani, aveva un fondamento politico profondo: la direzione del paese e quindi la possibilità di accedere a uno sviluppo che non si vedeva dai tempi del piano Marshall nel dopoguerra.

Qui le sfide restano moltissime e altissime, ma, almeno per oggi, il nome di Draghi non trova opposizioni e quindi potrebbe davvero unire il paese, come dovrebbe avvenire in tutti i momenti importanti e delicati. Il futuro sarà difficile, non c’è da illudersi, ma forse almeno oggi c’è un motivo in più di sperare in bene.

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