Il periodo dall’VIII al V secolo avanti Cristo la storia cinese lo chiama “Le primavere e gli autunni”, quasi a identificare, come il rapido cambio di stagioni, il repentino sorgere e tramontare di stati con il dissolvimento dell’ordine dell’impero Zhou.

Tutti erano in guerra contro tutti per il dominio del fertile bacino del Fiume Giallo, uniti a volte dalle alleanze dei piccoli contro i grandi, oppure nell’asse dei paesi da est a ovest o in quello da nord a sud, o gli stati del nord contro quelli del sud, quelli esterni contro quelli interni.



Ognuno aveva suoi ideali e programmi, ma in verità nello spietato cinismo dell’epoca nessuna alleanza o programma aveva valore, c’era solo la cruda ricerca della propria sopravvivenza a scapito di tutti gli altri.

Così dalla Cina oggi appare la politica del parlamento italiano. Ma qui occorre entrare nel dettaglio romano e lasciare le battaglie fra Wei o Qin.



Con la scissione di Matteo Renzi dal Pd, quando egli stesso aveva spinto per l’alleanza Pd-M5s di questo esecutivo, si cambia il patto di governo a due in un patto a tre. Questo è fondamentale, tanto è vero che il premier Giuseppe Conte ha chiesto rassicurazioni a Renzi e questi, come fece anni fa col premier Enrico Letta, gli avrebbe detto “stai tranquillo”. Letta dopo un paio di mesi era fuori dalla porta. Oggi che cosa pensa Conte?

Per Renzi però è tutto come da copione: si è già visto. Ciò che è bizzarro è la muta reazione del leader della Lega Matteo Salvini.

Dopo la scissione di Renzi, Salvini avrebbe potuto dire: “è cambiata la politica e ciò prova come fosse giusto andare al voto. La scissione è di fatto una crisi di governo e un tradimento contro il presidente Sergio Mattarella, che ha patrocinato il governo. Il presidente è stato ingannato e oggi si deve tornare alle urne”.



Questa scissione dà a Salvini argomenti più solidi e forti di certe sue rauche grida contro i migranti. Però il capo della Lega non ha detto niente: perché? Nella stagione delle primavere e degli autunni italiani, dove tutti parlano e litigano con tutti, Renzi e Salvini stanno flirtando per un dopo Conte?

Nei fatti, nella logica di potere cinese, che forse non sfiora Renzi, l’ex premier ha oggi 2, 3, 4 maggioranze teoriche a disposizione. C’è l’attuale; un Renzusconi, con o senza Lega; un Renzi, Lega, M5s; e ogni altra geometria che resta. Nei fatti oggi, per sloggiarlo da questa sua centralità, tutti gli altri dovrebbero coalizzarsi contro di lui: cosa difficile.

Renzi ha vari punti di forza in questo. Ha occupato il centro, e ha forse ancora una pattuglia dentro il Pd che può coordinarsi con lui al di là degli ordini del segretario Nicola Zingaretti. Inoltre c’è un gruppo mediatico, Corriere della Sera-La7, che gli è oggettivamente vicino, volendo anch’esso occupare il centro. Infine Renzi ha dalla sua una capacità di manovra e contatti con l’estero come nessun altro partito.

Contro Renzi c’è il fatto che la sua notoria spregiudicatezza non gli dà amici. Inoltre non ha voti ed è improbabile almeno per il momento che riesca a raccoglierne abbastanza per contare alle prossime elezioni.

Ma queste sono lontane: nel prossimo futuro c’è da fare le nomine di tante aziende, il potere vero in Italia, cosa che magari poi potrebbe tradursi anche in voti.

Salvini al contrario ha i voti ma è in un angolo, non tocca palla. Non ha relazioni internazionali di valore ed è anche fuori dai salotti buoni. In teoria il matrimonio fra i due Mattei è scritto nelle stelle, l’uno ha i voti (Salvini) l’altro (Renzi) ha tutto il resto. Il problema vero è: come si concretizzerà questo matrimonio?

Nel frattempo però non si muove solo Renzi. Anche Di Maio vuole fare un partito suo, visto che ormai non si fida di Grillo e ne è, pare, appassionatamente ricambiato. Zingaretti cerca di uscire dall’angolo. In FI tanti pensano che sia meglio confluire direttamente su Renzi che entrarci di sponda dopo essersi sciolti nella Lega.

Tutto ciò andava bene quando i potenti disponevano di stati o eserciti come proprio dominio privato. Finiti da secoli quei tempi, oggi in politica si chiede alla gente di votare in base a un’idea o un programma, che – se si vuole – è solo una forma più complicata di chiedere il voto in cambio di un paio di scarpe. Ma se io ti do il voto e tu non mi dai le scarpe (non realizzi il programma promesso) io sono contento? Ti credo ancora? Se al negozio ci promettono arance ma poi ci danno qualcos’altro, non siamo felici; non è forse così anche in politica?

Allora i due Mattei flirteranno e tutti giocheranno su tutti i tavoli, ma questa non è più la Repubblica italiana inquadrata dalla costituzione e dalle istituzioni create nel 1948. È il caos, il luan della fine dell’impero Zhou. Solo che allora non si votava. Oggi qualcuno vuole abolire le elezioni?