Nulla è chiaro di quello che accadrà martedì in Italia quando il premier Giuseppe Conte andrà al Quirinale e in sostanza si saprà se la crisi di governo c’è o meno.

Di certo Conte dopo un anno di passività ha trovato il coraggio di cancellare le politiche dure anti-immigrati del suo vice/(ex?) padrone, il leader della Lega Matteo Salvini; e non è chiaro cosa questi farà, se deciderà (come?) di ripiegare o ritirerà la delegazione dei ministri. Né è chiaro se Salvini si limiterà ai social o proverà a portare i suoi in piazza. La seconda scelta sarebbe molto forte, ma forse anche difficile perché il suo elettorato è poco incline alle prove muscolari di massa. 



Comunque le liti pubbliche, le differenze sui migranti, elemento cardine della politica salviniana, i sondaggi di opinione che danno in vetta la Lega, dicono che il governo nei fatti non c’è più, qualunque cosa Conte possa dire martedì. Inoltre appare sempre più chiaro con il passare delle ore che se pure sulla carta un’altra maggioranza sarebbe possibile, essa non sarebbe su un programma di governo vero, ma su un accordo costruito per non andare al voto e impedire in sostanza che Salvini trasformi il suo consenso in seggi.



In altre parole anche il Parlamento, come il Governo, non rimarrebbe né vivo e né morto, come uno zombie o un vampiro. Questo stato però potrebbe indurre il presidente Sergio Mattarella a non incoraggiare un governo con l’orizzonte semplice di non andare al voto. Al Colle potrebbero avere ancora fede nella vecchia idea di Churchill secondo cui la democrazia è una forma di governo orribile, ma le altre sono ancora peggio.

D’altro canto uscire dallo stallo procedurale in cui il premier non si dimette, i parlamentari nemmeno, potrebbe essere molto difficile e aprire un orizzonte forse anche lungo in cui tutti prendono tempo. Del resto per formare il governo Conte ci vollero praticamente tre mesi di consultazioni… Oppure no, e martedì ci sarà una soluzione chiara.



Ma il punto oggi non è più la fine del governo, questo è solo un atto notarile, né l’ascesa di Salvini, chiara anche questa da mesi. Il punto politico vero è la rinascita politica dell’ex leader del Pd Matteo Renzi, il quale rovesciando la sua posizione precedente dice ora: al governo con i 5 Stelle. Ma è nascita vera o fuoco fatuo?

Renzi un anno fa diceva “niente governo coi 5 Stelle” perché contava che maggioranze senza il suo Pd fossero impossibili e quindi lui avrebbe dettato tempi e modi della politica. Il suo programma era un governo tecnico e poi il voto. Di fatto, pur di non fare un governo tecnico e non cedere a Renzi, M5s si alleò alla Lega, e il Pd tolse a Renzi la segreteria. Fu in sostanza un referendum contro Renzi, e ora la situazione potrebbe essere di nuovo simile.

Il Pd fuori dal Parlamento sta scaldando i motori per il voto. Questo ha due aspetti.

Uno è quello alto: riportare la crisi all’elettorato, fare governare la Lega e contare sulla sua incapacità per farla sgonfiare e cadere magari tra un anno o due. L’altro è quello più di macchina: col voto il Pd dovrebbe guadagnare consensi e portare in Parlamento una compagine non più legata a Renzi. In questo modo chiuderebbe per sempre la stagione renziana nel Pd.

Quindi le partite sono varie, incastrate l’una nell’altra, in cui di nuovo Renzi, come al referendum costituzionale, come alle consultazioni dell’anno scorso, si pone al centro, chiedendo nei fatti un voto per o contro di sé. Le altre due volte ha sbagliato i calcoli; questa volta avrà ragione?

In realtà, il Pd sembra intimorito da Renzi, ed è quindi restio ad affrontarlo di petto. In questo temporeggiare Renzi prende spazio e la lotta diventa giorno dopo giorno quella fra i due Mattei, Salvini e Renzi. Nel confronto diretto, Renzi pensa di poter prevalere su Salvini, perché comunque è meno peggio tra la maggioranza dei benpensanti; e Salvini pensa che se oggi ha tanto consenso è per gli errori di Renzi. Sapremo presto chi ha ragione.