Non c’è da farsi illusioni: il problema che affrontano oggi i partiti in Italia è antico quanto la storia della democrazia, che non è mai stata la semplice somma aritmetica di “un uomo-un voto”, ma piuttosto un’alchimia di volontà popolare e poteri interni ed esterni pre-esistenti. Solo che con i secoli e la moltiplicazione di votanti e di interessi, tale alchimia diventa sempre più difficile da equilibrare.



Così oggi ai due estremi dell’arco italiano ci sono da un lato Matteo Salvini (con il cruccio di come trasformare i suoi voti in potere, in capacità di manovra nel palazzo) e dall’altro Matteo Renzi (con il problema di come trasformare il suo potere, la sua capacità di manovra, in voti).

In mezzo c’è poi la questione antica di cosa fare con questi poteri per l’Italia. Ma questo, per ora, è un problema che non è affrontato.



La missione di Renzi è difficilissima, ma ci sono precedenti: la tenue gravitas del Granducato di Toscana e dei suoi signori, i Medici, che dominarono l’Europa. Essi riuscirono a dare due papi allo Stato pontificio (il massimo potere spirituale dell’occidente), due regine alla Francia (la più grande potenza continentale) e arte e scienza a tutto il mondo. Così la famiglia assicurò per secoli la centralità di Firenze. Ma per capire come tale esempio possa essere usato oggi, forse occorre guardare all’altro Matteo.

Salvini ha tanti consensi interni ma nessun appoggio esterno e nei salotti buoni. Questo significa che il vento in poppa che aveva fino a ieri gli potrebbe venire rapidamente meno. La sua forza vera è l’elettorato del Nord: non più solo gli imprenditori della vecchia Lega, con 4-5 macchine in garage, tre villette e restii a pagare le tasse, ma un’intera classe media che si sta proletarizzando e si sente minacciata. A loro interessa, giustamente, il proprio benessere, che il potere di Salvini dovrebbe assicurargli. Ma se Salvini si allontana dal potere, loro progressivamente si allontanano da Salvini. A loro serve un garante di lavoro e benessere, non un crociato della civiltà para-cristiana. Solo che se Salvini abbandona la crociata, perde lo slancio che ha catturato voci e timori finora ignorati e che lo ha portato al 30%. Come può fare per uscire da questa contraddizione? In teoria un patto con Renzi quadrerebbe il cerchio. Ma non si farà in tempi brevi, anche perché Renzi ha ora altre priorità.



Oggi Renzi ha il suo partito (Italia Viva, circa il 5% del parlamento) più una consistente pattuglia dentro il Pd, più un pezzo sostanzioso del M5s. Questi ultimi ora devono tutto al loro ex nemico preferito (Renzi appunto). I peones, raccolti intorno a Luigi Di Maio, non vogliono andare al voto anticipato (dove sarebbero mandati a casa) e il vate Beppe Grillo non vuole una magistratura inferocita che si scateni contro il figlio, forse reo di violenza carnale ed altro.

Renzi garantisce entrambi, e con ciò mette sotto scacco il premier Giuseppe Conte, che ambirebbe a ciò che finora non gli è riuscito: prendersi il M5s. Quindi come e più di Salvini nei tempi d’oro, un anno fa, il capo di Italia Viva nei fatti ha a disposizione tre partiti: il suo, il Pd sotto ricatto, e il M5s, tramortito e ricattabile ogni secondo.

Da qui potrebbe tendere la mano a Salvini e pensare architetture che diano vantaggi a entrambi. Ma prima deve togliersi la spina nel fianco, cioè Nicola Zingaretti. Questi è colpevole di avere tentato di contro-manovrare Renzi, escludendo i renziani dalla compagine di governo. Per questo Renzi si è fatto un gruppo suo, per potere intervenire in proprio nelle nomine dell’inizio dell’anno prossimo.

Ma il vecchio Pd è insidioso, abile nelle manovre di palazzo forse come e più di Renzi. Per questo sarebbero utili sconfitte elettorali che sanciscano la decapitazione del vecchio partito e magari portino un para-renziano nelle stanze dei bottoni del Pd. La prima prova è l’elezione in Umbria del 27 ottobre, e poi ci sono Calabria e Emilia-Romagna. Se in questa infilata di regionali il Pd incassasse sconfitte, Renzi si rafforzerebbe. Se invece vincesse, le vittorie potrebbero dire ancora poco, perché Italia viva è appena nata. Quindi Renzi ha da vincere senza avere da perdere. D’altro canto Zingaretti oggi senza Renzi e senza Carlo Calenda (entrambi usciti) è senza una vera opposizione interna nel Pd.

In mezzo ci saranno le prove generali dei due Mattei: il 18 Renzi alla Leopolda e il 19 Salvini a piazza San Giovanni. I luoghi scelti sono indice della forza: l’uno vuole il potere dei potenti, l’altro cerca di fare sentire il tintinnio delle masse. Sono due suoni che si fanno eco, in cui Zingaretti e il suo Pd rischiano di rimanere schiacciati.

Ma la partita è lungi dall’essere finita, come avverte un ex peso massimo della Dc, Calogero Mannino. Renzi può sperare di ricattare tutti, come faceva Ugo La Malfa con il suo Pri durante la prima repubblica, ma il quadro del paese è cambiato e sta cambiando. Il Nord Italia sempre più si sta trasformando in provincia di Francia e Germania mentre il Sud Italia, fino all’Umbria e alla Toscana, sta diventando una marca europea contro il Nord Africa in ebollizione.

Per il Nord si tratta di tenere lontano l’Africa, agli altri invece è dato l’amaro calice di dovere gestire le ondate crescenti di migranti che nessuno vuole. Questi grandi temi spaccano i due Mattei, che a ciò non hanno risposte o ragionamenti complessi. Del resto a questi temi né la Ue, la Germania o la Francia, o l’America hanno risposte. Ma su questo si gioca in realtà il destino del vecchio continente.