Vista dall’esterno la questione italiana in Europa appare forse con due facce. È abbastanza chiaro in generale quello che l’Italia vuole per sé stessa, ma non è chiaro quello che essa vuole per la Ue.
Da lontano, semplificando, la questione pare essere la seguente.
L’Italia vuole finanziamenti per restare a galla, e su questo in linea di principio non ci sono problemi. I problemi nascono sul tipo di finanziamenti richiesti. La Ue propone l’intervento del Mes che, temono a Roma, significherebbe commissariare l’Italia secondo regole tedesche. Roma dice: “non sopporteremmo un commissariamento, salterebbe la società italiana”, e quindi propone gli eurobond.
La Ue risponde: con gli eurobond l’Unione si accolla i debiti italiani esistenti, e ciò potrebbe anche starci, ma non ci date garanzie sui debiti futuri e sull’amministrazione dello Stato. I populisti di altri paesi Ue potrebbero rivoltarsi e apriremmo la porta a nazionalismi che potrebbero diventare pericolosi come quelli del secolo scorso.
È comprensibile che l’Italia voglia portare lo scalpo della vittoria a Bruxelles per tacitare i nazionalisti di casa sua, ma questo non può essere fatto dando ossigeno e benzina ai nazionalismi tedeschi o francesi.
Se l’alternativa è questa, meglio allora il nazionalismo italiano che storicamente è meno pericoloso.
Inoltre c’è una questione oggettiva. I tedeschi in 20 anni hanno rimesso i loro conti in ordine, in 20 anni gli italiani li hanno peggiorati, come quindi fa la Germania a fidarsi dell’Italia? Ancora: se alla fine si riparte dopo la mostruosa iniezione di liquidità in atto, potrebbe scattare l’inflazione; a quel punto gli italiani, per l’80% proprietari della loro casa, riescono a galleggiare. Invece i tedeschi, proprietari di casa per il 50% della popolazione, annegano.
Come fa l’Italia a chiedere una soluzione che si preoccupa solo dei suoi problemi e non di quelli degli altri?
Il problema di fondo è probabilmente questo: qual è l’attuale proposta italiana per la Ue, oltre che per l’Italia stessa? Nei giorni scorsi lo ha scritto in sostanza Lucrezia Reichlin sul Corriere della Sera. L’Italia deve portare a Bruxelles una proposta articolata che tenga conto delle ragioni degli altri e crei un consenso ampio su un’ipotesi che non può essere semplicemente italiana.
Nel 2018 il controverso ministro per gli Affari europei Paolo Savona, che proponeva di rinegoziare gli accordi con la Ue, lo fece avendo elaborato un nuovo modo di pensare la Ue, non chiedendo semplicemente qualcosa per l’Italia. La proposta di Savona poteva essere sbagliata, eccessiva, anche eversiva di quello che è l’Unione Europea, ma era un modo di impostare il problema. Altri governi passati hanno accettato il quadro generale della logica dell’Unione e al suo interno hanno cercato di ricavare vantaggi più o meno grandi per l’Italia. Ora invece?
A fronte di una diffidenza di fondo nella Ue nei confronti dell’Italia, c’è la difficoltà dell’Italia a prendere le misure di cosa volere per l’Unione oltre che per sé stessa. In tale quadro allora forse è facile per Bruxelles continuare a respingere al mittente, con maggiore o minore grazia, le richieste italiane e spingere misure che vanno ogni giorno di più nel senso di un intervento del Mes.