La sconfitta della coalizione M5s-Pd in Umbria di fatto boccia tutta una linea politica di governo affermatasi negli ultimi due mesi e crea un terremoto all’interno dei partiti. Da sola la Lega, un anno fa partito minoritario, oggi raccoglie più consensi di M5s e Pd messi insieme. Più di ogni altro sondaggio ciò testimonia la volontà attuale degli italiani. Ma al di là del probabilmente anche giusto trionfalismo dei vincitori, questo risultato non apre chiare prospettive.
La prima vittima del voto è comunque Giuseppe Conte, leader del governo, e quindi primo bocciato. La riprova della bocciatura è nelle prime dichiarazioni del premier, che ha affermato con una classica excusatio non petita: “l’Umbria è il 2% della popolazione italiana”. Egli così ha sottolineato di essere forse un leguleio azzeccagarbugli o semplicemente di non capire la politica.
In ogni caso si è messo in un angolo da solo e ha compromesso il suo futuro come prossimo leader del M5s. Con lui il Movimento non si salva, ma perde sempre più.
Luigi Di Maio è apparso più astuto e ha cercato subito di sfilarsi dall’esperienza umbra annunciando che alle prossime regionali il M5s non si alleerà più con il Pd. Ma come spiega il saggio Calogero Mannino, non è chiaro quanto pesi davvero Di Maio nel M5s. Qui i padroni restano Grillo e Casaleggio, i quali forse oggi non sanno davvero cosa fare.
Il Pd di Nicola Zingaretti ha probabilmente subìto il destino più tragico. Forzato, obtorto collo, da Matteo Renzi a fare un governo che non voleva, poi il governo lo ha difeso e lo difende, mentre Renzi si è sfilato con la sua Italia viva. Il risultato è che Renzi, pur artefice dell’esecutivo, oggi gongola, mentre Zingaretti, una volta contrario a questa maggioranza, è sconfitto e appare frastornato e incerto.
Con il rispetto, l’umiltà e anche l’onestà che in Cina osserva il servo alla corte dell’imperatore, forse bisogna aggiungere che sconfitti sono anche quegli ambienti vicini al Quirinale e alla Santa Sede che questo governo lo avevano auspicato e favorito. Forse bisognerebbe cominciare non dai giochi di palazzo, ma dalla ricerca di politiche autentiche che affrontino i problemi della gente comune e raccolgano consensi.
Vince invece la destra sotto la guida di Matteo Salvini, che dopo i calori agostani ha smesso di brandire rosari e gridare battute truculente. L’Umbria evidentemente premia anche il nuovo Salvini, mentre il vecchio incombe sempre. Qui c’è il problema del futuro, perché il cordone ombelicale tra vecchio e nuovo Salvini non è stato tagliato. Al di là dei distinguo più o meno sottili sulla retorica salviniana, se sia di destra e quanto di destra sia, c’è un problema globale. Un Salvini che non apre un chiaro spartiacque con la destra estrema, di fatto legittima la ben più pericolosa destra estrema in Germania, Russia e in altre parti d’Europa. L’incubo di una nuova ondata fascista nel mondo, che proprio un secolo fa montava a partire dall’Italia, non sarà preso sotto gamba da nessuno e quindi va fermato sul nascere.
Salvini deve rifarsi una verginità internazionale, dare garanzie al mondo e prendere davvero le distanze da certe pericolose frequentazioni russe. Senza di ciò le sue possibili vittorie in Emilia-Romagna o in Calabria non saranno solo in forse, ma potrebbero diventare per mille motivi inutili o controproducenti.
Salvini quindi, pur vincitore di oggi, ha davanti un cammino non in discesa. In Emilia-Romagna potrebbe vincere o perdere. Se vincesse sarebbe un trionfo, se perdesse di misura potrebbe essere comunque un buon risultato, andando vicino a espugnare la roccaforte storica del Pd.
È quindi in realtà in Calabria che si gioca davvero la prossima partita. Se qui Salvini non vincerà, il governo potrà dire di avere fermato l’ondata di destra. Se vincesse Mario Occhiuto, a oggi sostenuto solo da FI, risulterebbe che un centrodestra moderato da solo può rinascere dalle periferie. Finora Salvini non sostiene Occhiuto e questi non si ritira dalla corsa, con il risultato probabile che la Lega, se corresse da sola, potrebbe subire uno smacco clamoroso.
In attesa del voto in Calabria il governo quindi probabilmente traballerà pericolosamente per tre mesi, nella speranza che lo spread non impazzisca, la recessione non salti e il resto del mondo rimanga tranquillo. Ma da oggi l’esecutivo è azzoppato, e la sua stampella si chiama Renzi. Nei prossimi giorni si vedrà quanto la stampella si rafforza e l’equilibrio di governo si indebolisce. Intanto l’ombra delle elezioni anticipate si avvicina, anche se non si sa per quando.