Alla base dell’immobilità politica di questi giorni c’è un cambio strutturale degli umori della gente che cozza contro il sistema politico-elettorale di questa “seconda repubblica”.
Nella prima repubblica deputati e senatori erano in carriera. Navigavano legislatura dopo legislatura per decenni, compensati in caso di bocciatura al voto da un incarico nel parastato o nelle cooperative. Tutti cadevano in piedi.
Per questo quando il Parlamento era chiamato a sciogliersi in anticipo essi erano certi al 90% della rielezione, comunque certissimi di non essere persi, con in più la pensione che maturava in base alla legislatura e non agli anni di servizio effettivi. Tutto questo era possibile perché i cambi dei flussi elettorali erano marginali: un 5-10% che spostava in maniera sostanzialmente insignificante gli equilibri.
Oggi invece i cambi dei flussi elettorali alle ultime elezioni sono stati del 40%. Praticamente metà della popolazione alle urne ha cambiato idea su cosa votare e in futuro potrebbe essere peggio. Per esempio i 5 Stelle, che oggi hanno il 33% dei seggi in Parlamento, potrebbero scendere al 5% e forse addirittura non entrare in Parlamento con la prossima legge elettorale.
Inoltre, mentre nella prima repubblica deputati e senatori erano per lo più laureati, con una professione alle spalle (in un’Italia dove lo studio era per pochi), oggi deputati e senatori sono laureati nella percentuale più bassa dalla fondazione della repubblica (con un’Italia dove i laureati sono in percentuale più alta che mai). Essi poi sono spesso senza una professione e destinati, fuori dalla parentesi politica, alla disoccupazione o quasi.
È naturale che siano attaccati al posto. Quindi pur a fronte di un governo impotente non vogliono sciogliere le camere, perché sarebbe il loro suicidio.
Non vogliono votare i 5 Stelle, destinati, probabilmente, all’estinzione. Inoltre, come spesso succede in Italia, dopo avere lasciato il governo potrebbero arrivare inchieste giudiziarie sui diarchi Grillo e Casaleggio, l’uno sotto l’ombra di un’accusa di violenza sessuale per il figlio, l’altro sospettato di non avere marcato con chiarezza la differenza tra azienda e Movimento.
Non vuole votare la Lega di Matteo Salvini, spaventata di non saper poi gestire le mille complicatissime voci dell’agenda di governo, e doversi trovare poi scalzata in sei mesi da una crisi peggiore dell’attuale.
Non vuole governare FI, anch’essa ridotta al lumicino.
Non vuole votare Italia viva di Matteo Renzi, che rischia di non entrare in Parlamento, visto che le sue percentuali non si spostano in maniera significativa.
Avrebbe interesse a votare forse solo il Pd, che però è oggi il partito super-governativo e non guadagnerebbe comunque tanti seggi da un voto anticipato.
La situazione è così bloccata che anche i senatori M5s pronti a vendersi alla Lega (in cambio della futura rielezione) per far cadere il governo, sarebbero sostituiti da colleghi di FI.
Tutto ciò porta a dire che il Parlamento non si scioglie e che dovrebbe arrivare a scadenza.
Resta vero però che il Governo non governa, e questo è ingestibile per il paese, specie considerando che ormai tutti parlano di una recessione pesante in arrivo nel 2020.
La prospettiva reale quindi potrebbe essere che il Parlamento non si scioglie ma si fa un governo di salvezza nazionale, come ha proposto Salvini con l’accordo apparente di Renzi, con tutti dentro e un presidente del Consiglio tipo Mario Draghi. Magari dopo le regionali in Emilia-Romagna e Calabria.
Draghi avrebbe la statura internazionale per garantire il paese in mezzo alle bufere prossime venture e magari sbarcare al Quirinale.
Da questo ipotetico governo tutti i parlamentari avrebbero il loro posto garantito, ma si comincerebbe a governare. Nel frattempo i flussi elettorali “qual piuma al vento” potrebbero cambiare ancora direzione.
Solo che quest’avventura prova come ormai la seconda repubblica sia finita definitivamente e si debbano cambiare tutte le regole del gioco. Ciò per motivi interni, come quelli su accennati, ed esterni, forse meno chiari.
Nei giorni scorsi Usa e Cina hanno firmato un mini-accordo che annuncia una tregua nella guerra commerciale in atto. La situazione del commercio globale non migliorerà, ma almeno non dovrebbe peggiorare molto nei prossimi mesi. Un buon risultato, viste le premesse.
D’altro canto però si è aperto un altro fronte ben più pericoloso. Gli Usa hanno varato un nuovo piano per la difesa in cui gli elementi chiave sono mirati contro la Cina. Quindi la contesa strategica e tecnologica che separa i due paesi potrebbe ancora peggiorare.
Inoltre, il Giappone nei giorni scorsi ha anche avvertito che il riarmo cinese non sarà senza ripercussioni e agenzie di stampa americane hanno scritto che è in atto la più grande fuga di capitali nella storia della Repubblica popolare cinese, nonostante le rigide norme contro l’esportazione di denaro.
Vuol dire che nel 2020 il confronto mondiale intorno alla Cina sarà più duro, e questo potrebbe ripercuotersi sull’Italia, il più debole dei paesi forti.