Il saggio professor Arturo Parisi spiegava qualche giorno fa che il dovere dei cittadini è obbedire, ma quello dei leader è di dare ordini chiari, non ambigui. Nel 1990 il generale Fabio Mini illustrava che la buona comunicazione è essenziale nell’esercizio del comando. Se il comando è poco chiaro, confuso, o addirittura si presta ad altre interpretazioni oltre quelle intese, allora salta tutto.
Quando nei giorni del coronavirus il presidente del consiglio Giuseppe Conte va in tv un giorno sì e l’altro no per fare discorsi di mezz’ora a reti unificate che contraddicono o modificano sostanzialmente quanto detto prima, oggettivamente si stanno dando messaggi di timore, paura, di perdita di controllo. Quindi si rompe il rapporto di fiducia che rende ogni comando possibile.
È una questione fattuale, non di giochi di opportunità. La Gran Bretagna nel mezzo dei bombardamenti nazisti cacciò il premier suadente Chamberlain, che voleva arrendersi, e promosse il rompiscatole Churchill che voleva la guerra.
Anche oggi c’è un errore di fondo nell’analisi della situazione. Tra due-tre mesi, quando l’emergenza coronavirus sarà passata, non si può riavviare la giostra e pensare di fare un governo di emergenza nazionale che rimetta in piedi il paese. Tra due-tre mesi l’Italia sarà molto probabilmente nel mezzo di una nuova, più grande urgenza.
Il presidente americano Donald Trump ha proclamato l’emergenza in Usa tagliando le comunicazioni dirette non con l’Italia ma con tutta l’Europa continentale. Quindi ha detto che il virus minaccia tutto il continente, non solo l’Italia. Infatti la cancelliera Angela Merkel aveva affermato che il 70% della popolazione tedesca è a rischio di contagio.
Due calcoli ci spiegano che cosa questo significa. Il coronavirus manda in rianimazione circa il 14% degli infetti, che muoiono se non intubati. Facendo uno sconto sul 70% della popolazione pensiamo a 60 milioni di tedeschi, e portando al 10% i casi gravi, pensiamo a 6 milioni di persone che possono morire. Di più su scala continentale. Molti di più se il contagio tocca in maniera massiccia l’America e il mondo.
In più, in una guerra la forza produttiva di almeno un paese vincitore alla fine è a pieno regime e può muoversi e ricostruire tutto. Ma in questo caso fra qualche mese le industrie di mezzo mondo saranno ferme. Farle ripartire non sarà come aprire un rubinetto.
Infine la geopolitica. Le tensioni con la Cina aumenteranno nei prossimi mesi, dopo l’emergenza sanitaria. L’Iran già debole per le sanzioni e il calo del prezzo del petrolio potrebbe non reggersi. Né saranno calate tensioni come quelle attuali tra Turchia e Arabia Saudita contro la Russia su Siria, Iraq e petrolio. Inoltre c’è la recessione. Giovedì l’indice Dow Jones ha perso l’8%, lasciando in piazza oltre un terzo delle sue quotazioni in appena due settimane. Né il crollo dà segni di fermarsi.
Fra due mesi il mondo sarà più complicato di prima, non il contrario. Oggi l’Italia dovrebbe prepararsi e cambiare passo, perché già oggi il paese è confuso; con acque più agitate rischia di perdere i pezzi.