Il leader della Lega Matteo Salvini la settimana scorsa era sotto assedio e stava perdendo il suo smalto. Il Russiagate incombeva, c’erano le sue difficoltà con l’Unione Europea, c’era il mezzo scivolone sulla storia del carabiniere ammazzato da due sporchi maghrebini, anzi no, due ricchi studenti americani.
Ma è bastato che egli tornasse sul suo campo preferito, il commento esagerato contro la “zingaraccia” (che aveva invocato una pallottola in testa per il ministro dell’Interno) perché tutto il resto fosse sommerso.
Davanti all’uscita di Salvini, buonisti e cattivisti d’Italia si sono schierati a ranghi serrati l’uno contro l’altro. Così entrambi hanno aiutato Salvini dimenticando che la “zingaraccia” forse era solo uno specchietto per le allodole.
È soprattutto la reazione degli avversari, che hanno lasciato il Russiagate per la “zingaraccia” ad essere convincente per Salvini. Oggi e in futuro ogni volta che il leader leghista sarà assediato da problemi veri potrà fare ricorso a un insulto che distrae e sposta il centro della conversazione.
Ciò forse perché decenni di berlusconismo militante, anni di twitterismo da circo hanno ultrasemplificato ogni discorso politico e questioni complicate, possibili complotti, difficili alchimie diplomatiche diventano semplicemente incomprensibili come geroglifici.
Tale reazione dovrebbe provare che sì, Salvini fa male ad alzare polveroni, ma fanno altrettanto male i suoi avversari a inseguirlo su quel campo e a non insistere là dove è veramente debole. È il meccanismo di azioni e reazioni che è destinato a portare altrove il discorso… e il successo di Salvini.
Salvini ha paura del Russiagate, che potrebbe rivelarsi molto più pesante di quanto è emerso finora. Inoltre, al di là del polverone e del cieco ciclo di reazioni pavloviane, ci sono problemi concreti che aleggiano e sono sollecitati dalla “zingaraccia”. A Roma per esempio i nomadi sporcano la città saccheggiando impunemente i cassonetti di immondizia in pieno giorno e rovesciando tutto per i marciapiedi, che diventano impraticabili per la gente comune. I vigili fanno poco e niente per impedirlo e comunque ciò è possibile perché i rifiuti non sono prontamente raccolti.
Salvini non ha parlato di questi tre comportamenti deviati (i nomadi al saccheggio, l’assenza di vigili e la mancanza di raccolta dei rifiuti) né ha spiegato la sua posizione sul Russiagate, ma “ha buttato tutto in caciara”, come si dice a Roma, attaccando una zingara.
Da qui un paio di consigli cinici, ma speriamo costruttivi agli avversari di Salvini e a Salvini stesso.
Cari anti Salvini, attenti ad agitarvi per ogni drappo rosso, dietro c’è una spada che vi infilza: lasciate perdere dunque il “razzismo” salviniano, le parole sono sassi, ma anche i sassi pesano diversamente in tempi e società diverse.
Caro Salvini, finora il trucco dell’epiteto sopra le righe ha funzionato, ma come ogni gioco anche questo non può durare in eterno. Se gli altri lo scoprono, anche lei la prossima volta dovrà cambiare gioco.