Fra pochi giorni, il 26 di questo mese alle elezioni europee, sarà il vincitore, ma è già il più grande sconfitto. Il leader della Lega Matteo Salvini in pochi mesi è riuscito in quello che il suo semi-omonimo Matteo Renzi (ex leader Pd) aveva fatto in anni: diventare l’uomo che la maggioranza degli italiani ama detestare.



Lo disprezzano infatti i suoi alleati di governo, gli M5s, i suoi alleati potenziali, FI, naturalmente l’opposizione del Pd, e persino i vecchi quadri della Lega. Senza parlare della Chiesa, evidentemente irritata dal flirt di Salvini con l’americano Steve Bannon, autoproclamatosi semi-profeta di uno scisma conservatore.



Tutti sono contro i suoi toni trucidi, fascistizzanti, e questo gli sta assottigliando i consensi.

Sia ben chiaro, Salvini dovrebbe raccogliere comunque un successo clamoroso: attestandosi intorno a un quasi magico 30%. Ma questa cifra è lontana dal 33% e più dei sondaggi di un paio di mesi fa. Soprattutto si è invertita la tendenza che sembrava dovesse portarlo al 40%, cifra che con la legge elettorale attuale gli darebbe la maggioranza assoluta dei seggi.

Di qui il cruccio atteso. Con il 30% alle europee Salvini deve scegliere se cercare di capitalizzare il più possibile, andando alle elezioni presto e sperando per allora di raccogliere un 25%, visto che la tendenza al calo sembra non invertibile. Oppure se accettare di sostenere questo governo fino alla conclusione della legislatura con un suo certo 17%.



Entrambe le scelte sono dolorose. Se Salvini va al voto politico e ottiene intorno al 25% non è chiaro se resta al governo o meno. Se resta al governo sarà partito di maggioranza e dovrà governare sul serio, senza la campagna elettorale continua fatta a spese dello Stato. Se va all’opposizione avrà difficoltà a criticare gli altri, visti i suoi risultati non brillantissimi all’interno; e poi senza soldi come farà campagna elettorale?

Se non va al voto politico, e continua l’ammuina attuale, Salvini rischia di diventare quello che era all’inizio: socio debole della maggioranza M5s. Solo che i M5s sono già molto deboli, e il voto alle europee dovrebbe provare la perdita di circa 1/3 dei loro consensi.

La somma di due debolezze non fa una forza, ma è debolezza al quadrato. In autunno poi nessuno li salva dal dover firmare una finanziaria lacrime e sangue e forse anche dal vedere l’arrivo della Troika europea, perché tanto si sa che l’uscita dall’euro sarebbe peggio.

Senza contare la possibilità non remota di una crisi finanziaria, visto che lo spread sale e il conflitto commerciale Usa-Cina sta avendo un impatto anche in Europa.

Questa sarebbe allora già la fine di Salvini, come è il cappio intorno al collo del leader M5s Luigi Di Maio. Ma intanto non ci sono alternative.

Berlusconi vuole un partito non per governare ma per salvare le proprie aziende, e impedisce qualunque alternativa di centrodestra. Nel Pd Nicola Zingaretti ha lo spazio del suo predellino, perché il suo potere deve spartirlo con i maggiorenti del partito e con l’ombra di Renzi che continua a incombere. Nessuno di loro vuole un partito con un’immagine chiara in mano a Zingaretti. Né c’è per ora o nel prossimo futuro una nuova formazione all’orizzonte.

Un governo debole senza opposizione significa che il paese è con un piede nella fossa, perché il rischio sovrano è il pericolo maggiore per ogni investimento finanziario.

In tale contesto il risultato delle europee, qualunque esso sia, fotograferà il caos. Una via d’uscita per Salvini ci sarebbe, ma lui avrebbe bisogno di essere freddo e pensare a lungo termine.

Per prima cosa deve smetterla con la retorica truce; deve tagliarsi la barba, fisicamente e in senso lato, e chiedere perdono al Papa, perché l’Italia non si governa senza un consenso della Chiesa, nonostante la Chiesa oggi possa pensare ad altro. Quindi deve attrezzarsi per essere davvero un partito moderato di centrodestra.

Se non riuscirà a farlo, in sei-nove mesi i sondaggi potrebbero dargli meno del suo 17% attuale. Secondo la leggenda, suoi amici a novembre scorso gli suggerivano di andare subito al voto. Avrebbe preso oltre il 33% e sarebbe stato padrone del paese per cinque anni. Non ha ascoltato. Solo che il danno oggi è di tutti.