Chi sono e soprattutto quante sono oggi le frazioni o correnti del M5s, il partito a maggioranza relativa del Parlamento, il cui calo vertiginoso nei suffragi di fatto svuota la legittimità politica della legislatura? Inoltre nelle prossime regionali in Emilia-Romagna e Calabria potrebbero anche vincere “logiche nazionali” che bocciano gli amministratori: che ripercussioni ci saranno in Parlamento?



L’incrocio delle due questioni mostra come la fragilità politica italiana sia forse ancora più profonda di quanto si percepisce finora, mentre le elezioni anticipate restano una minaccia (o una speranza?) ancora incerta.

Ma un passo per volta e poi le conclusioni.

La scelta del M5s, passata per un voto su internet, di presentare liste proprie alle prossime regionali mostra ormai la frantumazione del Movimento. Il capo politico Luigi Di Maio aveva chiesto l’astensione, ma i militanti hanno detto di no. Cosa c’è dietro la bocciatura? I pochi militanti rimasti, sempre più radicali e quindi determinati a contarsi, oppure c’è la Casaleggio e Associati, la “proprietà” dei M5s e burattinaia del voto in rete, che vuole riprendersi l’organizzazione per toglierla a Di Maio?



Non lo sappiamo, e potrebbero essere entrambi i motivi. Di fatto Di Maio ormai parla solo per sé stesso, e le dichiarazioni del guru del Movimento Beppe Grillo a suo favore riprovano la cosa, perché invece di rafforzarlo ne sottolineano la debolezza. Evidentemente i militanti non lo seguono più, né lo segue la “proprietà”. Gli uni, i radicali, pensano a un movimento di duri e puri, la proprietà invece forse pensa che Di Maio semplicemente non funziona e sta meditando di dare tutta la guida al premier Giuseppe Conte. Questi è mago delle piroette, come quelle recenti sull’Ilva di Taranto (ieri: obbligo Mittal a tornare e a non licenziare nessuno; oggi: accetto di parlare con Mittal e avere 5mila esuberi in più). Quindi egli può garantire forse un futuro di governabilità maggiore ad una multinazionale indiana che non al governo.



Ma nella politica della trattativa parlamentare Di Maio (a cui in passato non abbiamo risparmiato critiche) non sbagliava. Il risultato dei 5 Stelle alle regionali sarà prevedibilmente infimo, cosa che indebolirà il Movimento in ogni caso e segherà le gambe al governo, accelerando la spinta verso elezioni anticipate, che a loro volta ridurranno drasticamente la forza parlamentare del Movimento. La durata il più a lungo possibile di questa legislatura finora era il mantra del M5s. Che i radicali del Movimento se ne infischino è comprensibile, che ci abbia ripensato la Casaleggio pare bizzarro, anche perché Conte riuscirà mai a prendere voti? Oppure quali sono i calcoli della Casaleggio? E coincidono con quelli di Grillo?

In ogni caso Di Maio è solo. I M5s sono da un’altra parte, non lo seguono; lui che cosa farà? Inseguirà i militanti? Oggi egli è il fantasma di sé stesso. Non è ministro degli Esteri, perché non lo è mai stato, non conosce la geografia dell’Italia (disse a Emiliano, governatore della Puglia, che Matera era nella sua Regione) figuriamoci quella del mondo. Non è capo del Movimento per le vicende attuali, quindi cos’è? Una figura tragicomica come l’aggiusta vasi de “La Giara” pirandelliana: l’uomo rimasto prigioniero del suo momento, della giara che doveva aggiustare e poi ha finito di rompere?

Intanto, mentre un momento finisce ne comincia un altro. Protagonisti delle elezioni regionali in due posti diversissimi dell’Italia non sono le formazioni nazionali, ma grandi candidati locali, Stefano Bonaccini in Emilia-Romagna e Mario Occhiuto in Calabria.

Bonaccini fino a ieri pareva superfavorito, oggi forse liste proprie dei M5 Stelle lo indeboliranno davanti alla candidata della Lega Lucia Borgonzoni. Di certo, se Bonaccini vincerà nonostante tutto, dimostrerà la sua forza, ma proverà anche come la vittoria possa e debba avvenire sul territorio, in base a conoscenze concrete, a un’amministrazione presente. Se perderà, dimostrerà viceversa che la Lega vince quando tutto il resto è sfarinato, non perché sia una forza davvero alternativa.

Lo stesso vale in Calabria. Il centrodestra, qui pur favorito sulla carta, non si decide se appoggiare o meno Mario Occhiuto, sindaco che ha trasformato Cosenza ed è favorito nei sondaggi. La Lega non prende posizione né a favore né contro e FI beccheggia alla deriva. Il centrosinistra, che già dà le elezioni per perse, procede senza grandi speranze. Da ciò, la vittoria di Occhiuto pare probabile, anche se non certa, perché presente e incisivo nel suo territorio, anche se lontano dai giochi romani.

In ogni caso, sia Emilia che Calabria dimostrano che se c’è un candidato locale forte i proclami ideologici contano poco. I votanti vogliono risposte reali a problemi reali. Forse anche per questo il leader della Lega Matteo Salvini, oggi sulla via di conversione verso il Partito popolare europeo, si sta tenendo lontano dalla questione più urticante dell’Italia, e cioè Taranto.

In teoria, Taranto avrebbe potuto essere la Caporetto del governo e Salvini avrebbe potuto cavalcare il disastro attuale per proporre un’alternativa per la città e per l’Italia, uscendo dalle strettoie soffocanti della retorica sui migranti. Ma Taranto è irritante da ogni punto di vista. Ci vorrebbero idee concrete, perché qui si fa davvero la nuova Italia o si muore, e Salvini ancora evidentemente annaspa. Forse, per lui, una vittoria non compromettente in Calabria e una sconfitta o vittoria di misura in Emilia aiutano ad allungare i tempi, a trovare un nuovo equilibrio e una nuova identità. Già ha tolto la camicia aperta e messo il girocollo, dopo potrebbe finalmente tagliarsi anche la barba.

Solo che senza nessuno a spingere verso un cambiamento chiaro le questioni italiane rischiano di annodarsi sempre di più, mentre le prospettive di un voto rimangono incerte. Sono ridde di voci che si inseguono e dicono che tutto può cadere da un momento all’altro, mentre per ora tutto rimane miracolosamente in piedi.