Giornali, tv, nuovi media lo gridano in coro: vogliamo il leader, chi è il nuovo leader?, dateci il leader! Come se una persona giusta potesse tutto. Ma non è così, non lo è mai stato.

Basta rileggersi Polibio che spiega più e più volte il punto. Roma vinse su Greci e su Cartaginesi contemporaneamente e in maniera incontrovertibile non perché avesse un leader migliore degli altri, ma perché aveva un’organizzazione politica e militare molto migliore degli altri. Il leader migliore, Polibio lo sottolinea più volte, era Annibale, geniale su ogni fronte, ma che nulla poté di fronte alla resilienza del sistema romano.



La filosofia classica cinese, concentrata sulla politica, non si cura di questo o quel re, di questo o quel ministro, propone soluzioni della politica, militare e economica che rafforzino il sistema. Confucio non ebbe praticamente mai un ruolo politico ma fornì idee; Mozi addestrava consiglieri da mandare negli Stati che glieli chiedevano. Grandi primi ministri, che trasformarono il modo di amministrare lo Stato, come Guang Zhong, o grandi generali come Sunzi, non parlavano di sé stessi, e dei loro successi, ma dei loro metodi.



Sono i sistemi che contano, non gli uomini che li guidano, anche se il leader può aggiungere un di più ma non è risolutivo.

La politica italiana è stata lo stesso. Alla fine della seconda guerra mondiale non c’erano tre leader che hanno cambiato tutto, De Gasperi, Togliatti e Nenni. C’era un esercito di persone di grande qualità che hanno trasformato il paese e organizzato varie situazioni. C’erano la Dc, il Pci, il Psi ma anche Giustizia e Libertà, L’Eni, la Banca d’Italia, la Banca Commerciale che hanno trasformato l’Italia con grandi personalità, e al di là di quelle personalità.



Lo stesso “star system” di cinema e tv, che ha generato l’attuale ricerca del leader, è fatto da un esercito di superprofessionisti: produttori, registi, macchinisti, fotografi, sceneggiatori, guardarobieri, caratteristi… che rendono possibile a una star di brillare.

Per una conferma in fondo non serve andare indietro nella storia, basta il presente. L’ex presidente del Senato Pietro Grasso sembrava l’uomo più potente del creato, ma lasciato il Pd è scomparso. Lo stesso è successo a destra al suo conterraneo Alfano. Questo lo hanno capito Renzi o Calenda, che ogni giorno gridano di volere lasciare il Pd ma non lo fanno perché da soli sarebbero molto meno di ciò che sono adesso.

Il punto allora non è trovare il leader ma creare l’organizzazione. Questo è ciò che manca a tutti i partiti/movimenti, che si alleggeriscono giorno dopo giorno mentre dovrebbero rafforzarsi.

Per esempio, nessun partito oggi ha un ufficio studi (forse il Pd ne ha uno scheletro), ma sempre dagli uffici studi sono uscite le idee, l’organizzazione e anche i leader del partito.

È l’organizzazione, l’ufficio studi, che offre un ventaglio di possibili soluzioni quando il partito è inceppato.

Qui si ritorna all’attualità: che cosa deve e può fare Salvini? Il leader leghista aveva cominciato l’estate pensando che sarebbe stata la sua campagna trionfale: gridando “non passi lo straniero” contro le zattere di disperati in arrivo dalla Libia.

Il Russiagate lo ha smontato; peggio ha fatto poi chiedendo di andare al voto e ritraendosene dopo pochi secondi. Ora si è inceppato, ha perso il vento in poppa e non sa cosa fare. È scivolato anche sul carabiniere ucciso, chiedendo (lui, ministro dell’Interno) per i “bastardi” colpevoli “lavori forzati” in Italia inesistenti.

L’unica sua fortuna è che intorno gli altri ne sanno meno di lui. Il M5s è diviso in quattro-cinque tronconi, Di Maio, che sogna il partito suo, Di Battista, uguale, Casaleggio, che vorrebbe riprendersi quello che era suo, Grillo che è l’ectoplasma di sé stesso, i peones pronti a votarsi a qualunque causa pur di non tornare a fare la shampista o il professore di liceo.

Nel Pd Zingaretti è segretario, ma pare lo sia solo a titolo formale, mentre i Gentiloni, i Veltroni, gli Orfini, i Delrio eccetera si comportano tutti da capipopolo.

Infine c’è Forza Italia. Berlusconi la tiene come moneta di scambio con qualunque governo, al fine di salvare le sue aziende, sull’orlo di essere travolte dalla rivoluzione di internet. Intanto fa giocare Toti o la Carfagna o chiunque altro. Tanto lui sì sa che non è la figurina del momento che conta, ma solo chi ha in mano il partito.

Né c’è altro. Grandi aziende, sindacati, la stessa Chiesa italiana hanno preso o stanno prendendo direzioni diverse, più o meno particolari.

In mezzo c’è l’Italia senza un’idea di sé e con un futuro certo solo per il fatto che, nel momento di un grande scontro globale, nessuno, almeno per ora, vuole fare scoppiare il paese dando inizio a una deflagrazione più grande. Ma questo potrebbe rapidamente cambiare perché non dipende in alcun modo dall’Italia stessa.