Nell’estate del 2019, con la crisi che portò alla fine del primo governo Conte, il M5s era già ai minimi termini. Non aveva idee, energie. La sua campagna di rinnovamento (“apriremo il parlamento come una scatoletta di tonno”) si era rivelata un bidone. I suoi parlamentari non avevano fatto molto e si erano impantanati subito nel disastro del ponte Morandi, non sapendo come uscirne e creando problemi uno maggiore dell’altro.
Questa crisi di azione non era migliorata con il Conte 2, trainato all’inizio per lo più dalle polemiche contro l’ex alleato Salvini. La svolta ci fu con il Covid. L’epidemia, il panico, la confusione nei fatti sorresse il traballante Conte 2 con il pubblico italiano che si aggrappava disperatamente a conferenze stampa finte e incomprensibili, ma tanto compite, proprio perché dall’altra parte c’era un disastro senza precedenti.
La fine del Conte 2 ha riportato il M5s all’estate del 2019 elevata al cubo. Ha rivelato la sua debolezza e mostrato che la sua unica forza nell’ultimo anno era mostrarsi argine di un’epidemia che non sapeva governare.
Non c’è molto di sorprendente in questo. Ciò che sorprende invece è l’apparente meraviglia attuale del Pd per lo stato del M5s.
Ma se questo era evidente a noi che scriviamo da lontano, come poteva sfuggire a chi frequentava i 5 Stelle? Tranne alcune rare eccezioni, come il viceministro della Salute, Sileri, essi appaiono al governo spesso come pesci fuor d’acqua, incapaci di capire le questioni perché, come si diceva alle scuole medie di una volta, “a questi ragazzi mancano le basi, non hanno fatto le elementari per bene”.
Quindi in realtà la crisi dei 5 Stelle rivela la forse più significativa crisi del Pd, che ha tentato fino a poche ore fa di allearsi strutturalmente o fondersi addirittura con il Movimento. Certo la politica è fatta di alleanze tattiche e di opportunità, ma l’idea della fusione tra Pd e M5s forse aveva mancato di vedere la debolezza strutturale di Conte, Grillo e il resto del gruppo.
Questa debolezza di analisi è forse la pecca maggiore del Pd perché è cosa strutturale. Oggi si può correggere, visto che il M5s gli è franato davanti agli occhi, ma altri errori?
Il Pd è critico della Lega, per esempio sulle chiusure, ma nei suoi confronti non ha iniziative politiche, va a traino dicendo “no” quando gli altri dicono “sì” e viceversa. Ma in questo gioco naturalmente Matteo Salvini e i suoi hanno vita facile perché la gente in genere preferisce l’originale, per quanto brutto, alla copia in negativo. Vince Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni che stando all’opposizione sui fatti, e non su principi astratti, incassa i dividendi non tanto degli errori del premier Mario Draghi ma della vacuità di Pd e 5 Stelle nel governo.
Cioè il Pd deve rifondarsi di pensiero e deve avere posizioni incisive mantenibili nel medio-lungo termine. Questa certamente non sarà tutta colpa di Enrico Letta, arrivato a guidare il partito praticamente ieri, e certamente non è che si possa cambiare qualcosa cambiando segretario come si cambiano cavalli in una giostra.
Occorre uscire dalla giostra, anche perché al governo o all’opposizione il Pd è parte dell’equilibrio del sistema politico e senza un Pd pensante il sistema politico per intero non funziona e andrebbe tutto ripensato.
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