Le voci a Roma sono insistenti. La magistratura è sull’orlo di un crollo come quello dei partiti nel 1992. Luca Palamara da antieroe dei giudici corrotti si è oggi trasformato in eroe di pulizia?
Tutti – si dice in giro – facevano come lui, dunque sono tutti uguali; tanto peggio, tanto meglio. Nel frattempo la dimenticanza della mancia al bar è uguale al furto a mano armata; una multa per eccesso di velocità è come un omicidio aggravato. Tutti i magistrati che hanno parlato, incontrato, incrociato Palamara o i suoi complici, sono “in fondo” come lui, “in fondo” è tutta la stessa casta, “in fondo” la stessa risma, quindi via Palamara e via tutti.
Forse in quel “in fondo” c’è tutto il detto e non detto del potere o sottopotere ambizioso e arrogante che vuole giustificare i propri peccati mortali coi peccatucci altrui, e così non vuole vedere la sostanza di ogni diritto, il grado di colpa che distingue il ceffone dato dal padre al figlio al colpo di piccone di un prevaricatore per strada. L’“in fondo” fa perdere l’equilibrio essenziale, il “du” 度, il grado, il livello, che non bisogna oltrepassare su una cosa.
La logica semplificante e semplificatoria è anche quella che nel 1992 portò a sterminare i partiti dimenticandosi che proprio quei partiti, al di là delle colpe di tizio o di caio, erano la base della costituzione repubblicana e avevano guidato quasi mezzo secolo di crescita economica e civile del Paese.
Solo che allora la sconfitta dei partiti aveva un contraltare forte. Innanzitutto la magistratura era un bastione del paese. Aveva sconfitto il terrorismo politico, rosso e nero, e quello mafioso senza intaccare la democrazia, diversamente da com’era accaduto in tanti altri paesi, dal Sudamerica alla Grecia.
C’erano poi i giornali che avevano fatto da schermo civile, con un gruppo di imprenditori i quali, a cominciare da Gianni Agnelli, pensavano al bene del paese prima che al proprio.
Oggi, a trent’anni di distanza, i partiti non si sono rifondati, sono solo una pallida ombra di quello che erano. I giornali, la Confindustria, i sindacati, paiono spesso un barlume rispetto a quelli di un tempo.
Allora inoltre c’era grande attenzione da parte dell’America e dei partner europei al destino dell’Italia. Oggi, anche giustamente, il problema non è lo Stivale, ma quanto accade in Asia, intorno alla Cina.
Infine, allora Oscar Luigi Scalfaro era il presidente appena eletto e aveva davanti a sé un settennato pieno. Il presidente in realtà è un’istituzione fortissima in Italia, in mancanza di forza dei partiti. Oggi Sergio Mattarella è alla scadenza del suo mandato e un suo rinnovo è incerto e potrebbe per mille motivi diventare controverso. E comunque è un gioco molto complicato già in corso e che si conclude fra cinque mesi.
Mancano, in altri termini, forti punti di riferimento istituzionali. Se si sfarina la magistratura, non è chiaro cosa poi in sostanza rimanga.
Quindi oggi la crisi dei giudici è molto più grave di quella dei partiti nel ’92-93. Occorre salvare la magistratura e anche riformarla seriamente. Non può esserci una semplice riverniciatura. Certo l’epurazione di Palamara non basta.
Ugualmente non è ragionevole voler arrestare tutti i magistrati. Dopo la caduta di Mussolini il dittatore venne appeso per i piedi, alcuni suoi gerarchi furono fucilati, o epurati. Ma altri servirono poi anche la Repubblica. Senza di loro l’Italia non si sarebbe rialzata.
Cosa fare oggi in concreto? Certo non si possono mettere sullo stesso piano Palamara e i suoi nemici magistrati. Al di là di simpatie o antipatie di vario genere, se Palamara è il nemico, gli altri non lo sono e la riga va tirata là. Se poi Palamara non meritava di essere espulso dalla magistratura, allora che si proceda per le vie opportune e si scelga Palamara come presidente della Corte di Cassazione e i suoi nemici siano cacciati. Ma non può esserci l’uno e l’altro.
Dopodiché i giudici non possono continuare a funzionare com’è stato finora, e nemmeno i partiti che si sono sciolti in organizzazioni per eleggere in parlamento gruppi di amici. Tutto l’impianto deve essere rivisto e riorganizzato. Questo però non può passare dalla nuova distruzione di un pezzo delle istituzioni. Così facendo non rimarrebbe nulla.
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