L’alchimia altamente instabile della politica italiana è tornata a coagularsi verso la possibilità di elezioni anticipate, questa volta per ragioni di convenienza insieme di breve e di medio periodo. La combinazione di entrambe potrebbe risultare inarrestabile. Il catalizzatore è la vicenda dell’ex Ilva di Taranto.



Vediamo le ragioni di breve termine. Taranto sta spaccando il M5s, partito di maggioranza relativa del Parlamento. Il premier Giuseppe Conte è andato a Taranto e ha affrontato la folla. Ha dimostrato così coraggio e la città lo ha premiato. Questo successo, dopo la rovinosa esperienza della sconfitta elettorale alle elezioni umbre, potrebbe convincere una parte del M5s che Conte è la guida vera del futuro.



Luigi Di Maio invece a Taranto non è andato. Egli ha già compiuto una serie di capitomboli, promettendo prima la chiusura dell’Ilva e poi benedicendo la soluzione della vendita al gruppo Arcelor Mittal. Nell’ultimo suo viaggio in città l’allora ministro dello Sviluppo economico era andato evidentemente preso dal panico per le proteste dei suoi ex sostenitori. Oggi non è voluto tornarci, afferma che non si può estendere la protezione penale per Mittal e che se ciò si facesse il governo sarebbe a rischio.

Certo, le dichiarazioni di Di Maio possono essere un bluff. Ma, come scrivono Stefano Folli ed Ezio Mauro, in tale posizione Di Maio vede la nicchia per restare alla guida di un pezzo almeno di 5 Stelle, quello movimentista della prima ora, che voleva la chiusura dello stabilimento; magari per restituire la città alla cultura delle famose locali cozze pelose.



Conte e Di Maio tirano quindi gli M5s verso poli opposti, convinti entrambi di poter guidare la parte vincente alle prossime elezioni. Sarebbe un M5s più ridotto ma anche più compatto, e soprattutto potrebbe sfruttare la debolezza quasi esistenziale del Pd, stretto dalla doppia sfida di M5s e di Italia Viva di Renzi.

La spaccatura potrebbe ricomporsi, come è successo altre volte in passato, ma ci sono fattori di medio termine che potrebbero impedirlo.

Al di là delle polemiche romane, si deve decidere entro un mese cosa fare concretamente dell’Ilva: se cedere a Mittal (ed estendere l’esenzione penale), nazionalizzare l’impianto o chiuderlo definitivamente. Ogni scelta ha un suo costo pesantissimo in termini economici e politici. Qualunque sia la scelta finale, il governo così com’è, in tutto o in parte, potrebbe non reggere le ricadute polemiche.

Da lontano inoltre sembra che due dei grandi paladini di questo governo, alcuni ambienti del Quirinale e della Santa Sede, non siano felici di come sono andate le cose finora: potrebbero essersi pentiti e non essere più così ostili a una crisi di governo.

La combinazione di elementi di breve e medio periodo potrebbe quindi portare, forse dopo il 13 dicembre, data ultima perché la procura tarantina inizi un’attività contro l’Ilva, a una crisi.

Ciò significa anche che la Lega di Matteo Salvini deve scegliere da che parte stare, se essere un partito di centrodestra, che in sostanza sostituisca FI di Berlusconi, o un partito che strizza l’occhio all’ultradestra. La Lega ha ammesso di essere in trattative con il Partito popolare europeo, e questo sarebbe un grande passo avanti. Pare si richieda a Salvini un prezzo più alto di quello pagato una volta dal premier ungherese Orbán, ma questo è normale perché i tempi e le situazioni sono diverse.

Salvini forse teme che lasciare certe posizioni pubbliche estreme gli farebbe perdere voti, ma se non le lascia qualunque sia il suo successo elettorale ciò potrebbe essere vanificato da enormi pressioni internazionali.

Tale incertezza di Salvini forse potrebbe diventare l’ultimo pezzo del puzzle che porta al voto. Oggi un Salvini in mezzo al guado o che abbia passato il guado solo da poco probabilmente è battibile. Se Salvini si consolidasse, con una campagna elettorale che va di voto regionale in voto regionale per un anno e più, potrebbe diventare invincibile. Salvini quindi, diversamente che in agosto, oggi potrebbe non volere le urne, ma tanti altri sì.

Però la situazione è complessivamente molto instabile, e la stessa volatilità che ha accesso la miccia potrebbe spegnerla; se non fosse che entro il 13 dicembre si deve decidere su Mittal, e se non ci fosse il genio manovriero di Renzi, che già una volta ha sparigliato la carte di tutti inventandosi questo governo. L’ex premier vuole aspettare per non essere annichilito da un voto presto. E poiché, come spiega Calogero Mannino, nessuno degli attori in scena vuole perdere e nessuno è sicuro di vincere, si potrebbe restare in questo fangoso magma vulcanico fino a fine legislatura.

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