Vista da fuori, l’Italia, già incomprensibile, diventa sempre più un enigma avvolto nel mistero. C’è il punto cruciale: chi governa il Paese? È il leader della Lega e ministro degli Interni Matteo Salvini, che forte del 34% preso alle europee, si comporta già da capo indiscusso e rifiuta la convocazione alle camere per riferire sul Russiagate?



Oppure il governo è rappresentato dal M5s? Esso dopotutto ha la maggioranza relativa in Parlamento e ha votato per la nuova presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, mentre la Lega ha votato contro (uscendone sconfitta).

Oppure ancora il governo è rappresentato da Giuseppe Conte? Questi alla fin fine è il premier, anche se il suo appello di qualche settimana fa sul quotidiano Repubblica “o comando o mi dimetto” è rimasto inascoltato e lui non si è dimesso.



Né c’è chiarezza sull’opposizione, spaccata in tre.

Nella vecchia Forza Italia il potere è di Silvio Berlusconi, che compare e scompare dal pubblico come una luce intermittente? O invece il bastone del comando è davvero conteso tra il governatore della Liguria Giovanni Toti e la vicepresidente della Camera Mara Carfagna?

Infine ancor meno chiarezza sembra esserci nel Pd. L’ex premier Paolo Gentiloni viene citato nella stampa internazionale come voce contro Salvini nel Russiagate. Però è Enrico Letta che riscuote maggiore successo su Twitter quando chiede che il leader leghista si dimetta perché un ministro dell’Interno non può mentire. O si tratta ancora di Nicola Zingaretti, che è segretario del partito e forse per primo ha smosso le acque sul Russiagate? Senza pensare all’ex premier Matteo Renzi, che getta acqua sul fuoco dell’inchiesta.



L’idea del dio uno e trino, che quasi tenga insieme monoteismo e politeismo è un equilibrio fragile di cui la Chiesa è stata ago della bilancia con la presenza del papa. Il pontefice romano per secoli ha mantenuto sempre tutto al centro. Ma il rischio è che nella politica italiana, dove non c’è il papa, tutto si rompa e si separi.

La divisione poi è stata per secoli la realtà dominante in India, dove c’è l’altra “trinità” – la trimurti, del dio uno e trino, dell’induismo con la sua panoplia di dei minori. La grande e unitaria cultura e religione del subcontinente indiano ha trovato l’unità politica forse solo sotto i Mughal musulmani e quindi rigidamente monoteistici, e con gli inglesi, detentori di una religione, l’anglicana, che non è stata neppure davvero diffusa nell’impero.

Del resto, così è stato per l’Italia per secoli. Essa era unita da una lingua e una cultura, ma divisa politicamente.

Quindi il governo oggi uno e trino è il segno di un passato di divisioni che torna? Tale ritorno non avviene oggi, nemmeno domani; magari sarà dopodomani. Del resto la recente crisi del Csm, le feroci trattative sulle nuove autonomie fiscali delle Regioni e lo stesso Russiagate, indicano che le divisioni interne a governo e opposizione si allacciano, come fili perpendicolari della trama di un tessuto, con tali profonde fratture istituzionali.

Questa combinazione di forze centrifughe, se nell’immediato non spezza il paese, certamente lo indebolisce, poiché confonde ogni orizzonte di medio e lungo termine, necessario per ogni investitore.

Qui la fuga di capitali dall’Italia (secondo il presidente della Consob Paolo Savona oltre 50 miliardi di risparmi all’anno) e la fuga all’estero dei giovani (circa due milioni, il vero capitale umano del futuro) provano la debolezza crescente e forse cronicizzata del paese.

Allora l’unico freno vero sono i vincoli esterni, l’alleanza con l’America nella Nato e l’appartenenza alla Ue e all’euro. Senza anche uno di questi l’Italia come entità politica unitaria resisterebbe? La domanda però diventa: bastano i vincoli esterni a tenere unito un paese?

Occorrerebbero piani di medio e lungo termine. Il dibattito però sembra invece centrato sul brevissimo periodo, andare o non andare alle elezioni nei prossimi mesi. Sembrano i piani di un malato terminale che non sa se si sveglierà il giorno dopo; sembra l’orchestra che suona sulla tolda del Titanic, mentre il piroscafo va rapidamente a fondo.