Il parlamento dibatte con grande animosità le questioni vitali del ddl Zan. Sono problemi di civiltà, e prendiamo per buone le argomentazioni che circolano nel paese, ma visto dall’esterno, e siamo sicuri di sbagliare, esso appare come un modo anche abbastanza ingenuo dei partiti di evitare di affrontare le questioni davvero urgenti.



Di certo quello che è urgente per Roma sono due ordini di problemi: le riforme da attuare per il piano di Recovery – il Pnrr – e le questioni di politica estera che si affollano ormai ogni giorno intorno alla Cina.

Il Pnrr è stato varato ma avrà bisogno nei prossimi mesi di riforme importanti – burocrazia, liberalizzazione del mercato, giustizia, etc. – senza di cui l’Unione Europea non concederà all’Italia i finanziamenti concordati.



Queste riforme i partiti non è detto che le approveranno con facilità: un esempio su tutti, l’astensione di M5s sulla riforma della giustizia penale andata ieri in Consiglio dei ministri. Questo perché in una parte della maggioranza cresce una schiuma di insoddisfazione contro il premier Mario Draghi da parte di parlamentari che non potendo fare la guerra in campo aperto, hanno già cominciato una opera di guerriglia. È possibile quindi che tale guerriglia cresca e faccia traballare molte cose.

La stessa cosa si riflette sulle grandi opere. I 100 km di alta velocità tra Milano e Torino richiesero 102 permessi, “comprati” dal governo centrale in cambio di favori piccoli e grandi – un campo di calcio, la riparazione di un ufficio comunale, etc. – alle amministrazioni interessate. Senza una drastica riforma della burocrazia quanti permessi saranno necessari per le migliaia di chilometri di nuove ferrovie in programma?



Poi c’è la questione della ripresa. In America l’economia ha ricominciato a galoppare e la Fed comincia a considerare un aumento dei tassi di interesse. In Europa la Bce per ora li esclude ma per l’Italia la questione è vitale. Con un debito del 160% sul Pil, basta un rialzo dei tassi dell’1% e si sconvolge ogni calcolo economico. Oggi c’è Draghi, è vero: ma Draghi non è la panacea.

Quindi viene la questione più delicata e pericolosa di tutte, la politica estera. I rulli di tamburi di guerra si fanno sempre più forti intorno alla Cina.

Usa e Giappone hanno posto un duro altolà a Pechino su Taiwan. Navi europee, e forse anche italiane, potrebbero essere chiamate a operazioni di pattugliamento nel Mar Cinese Meridionale, che potrebbe quasi diventare un teatro attivo. L’Italia, come nella prima guerra fredda, è il paese Nato con il più forte partito “favorevole al nemico”: ai tempi dell’Urss era il Pci, oggi è il M5s.

Tutti questi temi non sono competenza del premier o del presidente della Repubblica, spetta discuterne al parlamento. Se il parlamento non lo fa si getta sulle spalle del governo e della presidenza della repubblica un onere di supplenza iniquo, non da un punto di vista etico-morale, ma istituzionale.

Il paese deve farsi carico di discutere e decidere con competenza su tali temi attraverso le strutture che la sua Costituzione vede come centrali nella politica, ossia i partiti. Se i partiti non hanno competenze, che se le procurino, come accadeva nella prima repubblica. E lo facciano in fretta.

Ma se su tutte queste questioni è costretto a decidere il governo, si crea uno spazio oggettivo di deresponsabilizzazione nel quale certi partiti o individui possono sentirsi liberi di boicottare, più o meno apertamente, l’esecutivo, che nella sua azione di governo appunto viene eroso.

Pertanto la toppa-Draghi sembra nascondere problemi in aumento per i partiti che lo sostengono o dicono di sostenerlo. Allora, forse, al di là di ogni litigio civilissimo sul ddl Zan e della morte della giustamente santa Raffaella Carrà, non sarebbe ora di rimettere i piedi per terra?

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