Francia e Italia dovrebbero darsi man forte per chiedere alla UE la revisione del piano per la produzione esclusiva di auto elettriche dal 2035 e del Green Deal. Dall’attuale governo Bayrou viene qualche timido segnale di cambiamento di indirizzo per cercare di salvare il settore automobilistico. In realtà si tratta solo di parole, spiega Marianna Rocher, esponente del RN per l’ottava circoscrizione (Italia, Grecia, Israele, Turchia, Cipro, Malta), assolutamente insufficienti per sostenere con forza un comparto che vale 13-14 milioni di posti di lavoro. Per difendere il settore la UE dovrebbe scegliere la linea degli USA, con dazi al 100% sulle auto cinesi, e un alleggerimento del fardello burocratico e delle tasse per le imprese europee.
Il ministro Marc Ferracci ha dichiarato che l’Italia e la Francia vogliono una politica industriale europea meno ingenua per proteggere settori come quello automobilistico. Parigi e Roma possono procedere insieme in questo settore?
Francia e Italia condividono una visione strategica per proteggere l’industria europea, soprattutto di fronte alla concorrenza cinese. Questa posizione comune è tanto più cruciale se si considera che l’occupazione è una questione importante, con 13-14 milioni di posti di lavoro nel settore automobilistico in Europa. Grazie al nostro gruppo di Patrioti europei, dopo le elezioni UE, i dazi sulle importazioni di auto cinesi sono stati aumentati dal 10% al 35%, dimostrando la volontà di agire concretamente, anche se questa misura rimane moderata rispetto alle tasse del 100% applicate dagli Stati Uniti.
La Francia, nonostante sia un Paese leader nell’industria automobilistica, non si era ancora impegnata a modificare le politiche di Bruxelles. Perché questo cambio di prospettiva?
La situazione attuale rappresenta una grave minaccia per la nostra sovranità industriale. Il nostro gruppo, i Patrioti (terzo gruppo più numeroso del parlamento UE), sta conducendo una lotta cruciale contro il Green Deal. Questo piano rappresenta uno dei più grandi programmi di decrescita che il nostro continente abbia mai visto. Per questo è imperativo che l’Europa agisca rapidamente per proteggere i suoi cittadini. Il Green Deal suscita legittime preoccupazioni per le sue conseguenze economiche e sociali, in particolare nel settore automobilistico. L’Europa non può più essere ostaggio di un’ideologia della decrescita. In questo contesto, chiediamo una revisione del calendario per il divieto di vendita delle auto a combustione interna, fissato al 2035.
Ferracci afferma di voler mantenere il divieto di produzione per i veicoli non elettrici nell’Unione Europea a partire dal 2035, ma si interroga sul percorso da seguire per raggiungere questo obiettivo. Cosa intende fare?
Marc Ferracci, esponente del macronismo, mantiene una posizione allineata al divieto europeo di vendita dei veicoli a combustione interna nel 2035, pur suggerendo di riflettere sulle modalità di attuazione. Questa posizione illustra la continuità con la politica di Emmanuel Macron ed è in linea con le direttive di Ursula von der Leyen a Bruxelles. L’approccio riflette la stagnazione dell’attuale governo che, fedele alle politiche di Macron, non propone alcun cambiamento reale per i francesi. Perpetua una politica che non affronta le vere questioni della sovranità industriale e dei bisogni dei cittadini.
È sufficiente modificare il calendario del piano per l’auto verde, evitando per il momento le sanzioni per le aziende che non producono il numero di veicoli elettrici stabilito dall’UE? Oppure occorre una revisione più ampia?
La questione va ben oltre il semplice calendario per la transizione alle auto elettriche. Richiede un ripensamento completo del Green Deal, che impone migliaia di norme restrittive alle nostre imprese e start-up, minacciando direttamente la nostra competitività e i nostri posti di lavoro. È necessario attuare una revisione profonda e strutturale, che comprenda non solo la revisione del calendario 2035 per i veicoli a combustione interna, ma anche una riduzione significativa delle tasse e dei vincoli normativi per l’industria. Anche un aumento sostanziale delle imposte sulle importazioni cinesi, analogamente a quanto avviene negli Stati Uniti, è fondamentale per proteggere la nostra industria.
Il governo Bayrou ha inviato un memorandum alla Commissione europea per chiedere una moratoria sulla transizione ecologica. La Francia vuole rimettere in discussione l’intero Green Deal?
L’iniziativa proviene dal gruppo Patriots for Europe, che il 28 gennaio ha inviato una proposta formale ai presidenti dei gruppi PPE-ECR-ESN del Parlamento europeo. Jordan Bardella, in qualità di presidente del gruppo, ha proposto una coalizione per sospendere il Green Deal. Le nostre conclusioni: la UE rischia di essere emarginata dagli USA e dalla Cina, le conseguenze economiche e sociali del Green Deal destano serie preoccupazioni in tutta Europa, le recenti rivelazioni della stampa olandese sui finanziamenti alle ONG ambientaliste da parte della Commissione europea e le loro pressioni sui parlamentari europei mettono in discussione la legittimità delle scelte politiche fatte. Questa iniziativa propone un’alternativa politica concreta, con una potenziale maggioranza composta dai gruppi PPE-PFE-ECR-ESN.
Questa nuova linea politica ha il sostegno necessario in Francia per avere peso a livello europeo?
La posizione del governo voluto da Macron mantiene l’allineamento con le direttive europee e il calendario del 2035 per la messa al bando dei veicoli a combustione interna. Questa continuità politica dimostra una mancanza di azione di fronte alle sfide della sovranità industriale. Il governo persegue una politica di attuazione delle direttive di Bruxelles senza mettere in discussione il Green Deal o il suo impatto sull’industria francese.
Quali sono i rischi per l’industria automobilistica francese in termini di produzione e occupazione e come si può rilanciare il settore?
L’industria automobilistica francese sta affrontando sfide importanti. La situazione è particolarmente preoccupante per i 40 milioni di automobilisti francesi che dipendono dall’auto per lavorare e stanno già subendo gli effetti di una politica punitiva: aumento delle tasse sui carburanti, creazione di zone a basse emissioni nelle grandi città e una proliferazione di vincoli che penalizzano soprattutto le classi lavoratrici e medie. Di fronte a queste sfide è indispensabile ridurre significativamente le tasse per i produttori del settore automobilistico e ridurre i vincoli normativi. Per preservare la mobilità si dovrebbe prendere in considerazione anche l’alleggerimento delle limitazioni al traffico nelle aree urbane.
Dovrebbero esserci ulteriori fusioni tra le grandi case automobilistiche?
Le fusioni tra case automobilistiche devono essere considerate nell’ottica del patriottismo economico europeo e della sovranità industriale. L’obiettivo è creare campioni in grado di competere a livello internazionale, in particolare con i produttori cinesi che beneficiano di un sostanziale sostegno statale. Questo consolidamento deve preservare i posti di lavoro in Europa, proteggere il know-how industriale e rafforzare la capacità di innovazione. Le fusioni non devono seguire una logica puramente finanziaria, ma rientrare in una strategia di difesa dei nostri interessi industriali, per mettere in comune gli investimenti in ricerca e sviluppo, condividere i costi della transizione tecnologica e mantenere una forte produzione sul territorio europeo.
(Paolo Rossetti)
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