Il 26 luglio, un putsch in Niger ha rovesciato il presidente Mohamed Bazoum, sostituito al potere dal generale Tchiani. Sebbene nessuno avesse previsto questo colpo di Stato, sia all’interno che all’esterno del Paese, purtroppo non si è trattato di qualcosa di eccezionale. La regione è stata scossa da colpi di Stato per molti anni, i più recenti sono stati quelli in Mali e Guinea nel 2021 e in Burkina Faso nel 2022. Per la Francia, che ha condannato immediatamente e con fermezza la presa di potere illegittima, si tratta comunque di un episodio dal sapore amaro: ambasciata attaccata, bandiera tricolore bruciata, richiesta di partenza delle truppe militari, evacuazione dei cittadini francesi. “Chiunque attacchi i cittadini francesi” è stata la risposta dell’Eliseo “l’esercito, i diplomatici o le basi francesi vedrà la Francia reagire, immediatamente e in modo intransigente. Il presidente della Repubblica non tollererà alcun attacco contro la Francia e i suoi interessi”.



Mentre si è subito parlato del fallimento della politica francese in Africa occidentale e della fine della presenza francese nel Sahel, è importante capire esattamente di cosa si tratta, sia nella regione, sia nel caso specifico del Niger, e perché la Francia si trova in prima linea in un putsch militare in un Paese ex colonia ma ora sovrano.



Negli anni sessanta, la Francia è passata da potenza coloniale ad alleata di molti Paesi del Sahel in seguito alla firma di accordi di difesa che convalidavano la presenza dell’esercito francese già nel 1961. Nel 2013, il Mali, che stava affrontando un aumento del jihadismo difficile da contenere, ha chiesto il sostegno della Francia. Truppe francesi sono state inviate nell’area e l’operazione Barkhane nel 2014 ha visto l’esercito di Parigi schierato nel G5 Sahel: Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger e Ciad. Il ruolo definito allora era triplice: combattere i jihadisti – dal 2014, 59 soldati francesi hanno perso la vita in operazioni –, addestrare gli eserciti locali per metterli in condizioni di affrontare da soli la minaccia islamista, e realizzare azioni civili a favore delle popolazioni locali costruendo infrastrutture.



A distanza di nove anni e dopo alcuni putsch che hanno sostituito i vecchi governanti alleati della Francia in alcuni di questi Paesi, le nuove generazioni percepiscono la presenza dei 3mila soldati ancora in posto come un “esercito di occupazione”, come “isole di comando e di potere” in un contesto di “neocolonialismo e paternalismo”. La Francia, che sembra essere colpita del suo stesso passato colonialista, lascerà il Mali nel 2021 e il Burkina Faso nel 2022 su richiesta dei nuovi dirigenti.

In Niger la situazione sembra a prima vista diversa e il colpo di Stato appare il risultato di uno scontro tra il presidente eletto e il suo capo della guardia presidenziale, il generale Tchiani. Quest’ultimo ha giustificato il putsch con il deterioramento della situazione della sicurezza e l’aumento della violenza jihadista contro la popolazione, ma gli analisti mettono in dubbio questa argomentazione. Le immagini di manifestanti nella capitale Niamey che chiedono la partenza della Francia sembrano essere opera di gruppi isolati e, in un discorso televisivo, il generale Tchiani ha sottolineato che i cittadini francesi “non sono mai stati oggetto della minima minaccia e non hanno alcun motivo oggettivo per lasciare il Niger”.

Per quanto riguarda la Francia, la ferma reazione dell’Eliseo all’indomani del colpo di Stato non è cambiata. Il ministro degli Esteri Catherine Colonna ha dichiarato in un’intervista che “le forze francesi presenti in Niger” si trovano lì “su richiesta delle autorità legittime del Paese, sulla base di accordi firmati per aiutare nella lotta contro il terrorismo”, aggiungendo che la Francia ha solo “sospeso la sua cooperazione militare e la sua cooperazione civile” dopo il putsch. “La situazione è calma per quanto riguarda le nostre forze” ed è “importante che rimanga tale”, ha aggiunto la ministra.

La situazione della Francia in Niger rimane quindi incerta e, dopo quanto accaduto in Mali e Burkina Faso, è fondamentale riflettere su cosa sta accadendo nei luoghi a presenza francese nel Sahel. I giovani, che sono la maggioranza in questi Paesi, non vedono più questa presenza come una collaborazione, ma piuttosto come un’ingerenza. Il paternalismo della Francia, espresso principalmente attraverso la presenza militare e meno attraverso lo sviluppo economico, non ha più senso per loro. Il fatto, per esempio, che sia diventato difficile, se non praticamente impossibile, per questi giovani francofoni ottenere visti di studio o di lavoro per venire in Francia favorisce il sentimento antifrancese. Le contraddizioni poi di una politica francese che non riconosce i leader non eletti, come Tchiai in Niger, ma nel 2021 ha sostenuto in Ciad la controversa ascesa al potere di Mahamat Idriss Déby, figlio dell’ex presidente Idriss Déby, a sua volta sostenuto dalla Francia dal 1996 al 2021, hanno incoraggiato la rottura.

Un giornalista ha spiegato che “più la Francia fa del bene, più fa del male a se stessa”. Il sostegno ai processi democratici e gli aiuti alle popolazioni delle aree più remote non legittimano più la presenza francese agli occhi di gran parte delle popolazione.

Oggi non lo si dice, ma il rientro dei 1.500 soldati francesi ancora presenti in Niger significherebbe per Parigi perdere il suo principale alleato e una posizione strategica nella lotta al terrorismo. Questa partenza, che potrebbe avvenire, come in Mali, a vantaggio del Gruppo Wagner e quindi della presenza di Mosca, non significherebbe affatto un rasserenamento della situazione nell’area o l’auspicato aumento della sicurezza per la popolazione. Gli uomini di Evgenij Prigozhin intervengono generalmente per garantire la sicurezza della giunta militare che, una volta al potere, non ha più fiducia nel suo esercito, e per difendere le risorse minerarie che pagano i loro stipendi, il tutto in un contesto di violenza e atrocità. Sebbene oggi non ci siano prove che la Russia sia dietro il colpo di Stato in Niger, le campagne di disinformazione e la propaganda del governo russo per la “lotta contro i colonizzatori” stanno aumentando il caos nella regione. Il presidente del Niger, tenuto prigioniero nel palazzo presidenziale, ha spiegato in un messaggio che il colpo di Stato potrebbe avere conseguenze “devastanti” per il mondo, soprattutto vista la svolta anti-occidentale dei Paesi vicini.

I recenti eventi in Niger e quello che succederà nei prossimi giorni mettono ancora una volta la Francia di fronte a se stessa e alle sue contraddizioni, con il difficile compito di costruire il futuro con l’ombra del passato ancora presente. Non è certo più compito della Francia fare il poliziotto nel Sahel, neppure su richiesta dei Paesi dell’area, ma Parigi deve essere in grado di difendere la Repubblica francese dal terrorismo islamico radicato in quella zona. La Francia deve inoltre difendere i propri interessi “partecipando” alla latente guerra di influenza che si sta svolgendo nel continente africano in particolare contro la Russia e la Cina, rompendo nello stesso tempo con l’atteggiamento paternalistico nei confronti delle sue ex colonie.

Un ultimo dato stimolante: dal 1960, la Francia è intervenuta 40 volte in tutti i Paesi che costituivano il suo impero coloniale, mentre la Gran Bretagna è intervenuta solo una volta. Anche se le situazioni non sono uguali, si tratta di due concezioni diverse della collaborazione internazionale che dovrebbero almeno far riflettere.

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