Sul frontone del Pantheon di Parigi c’è una frase incisa nella pietra come una promessa di eternità: “Aux grands hommes la patrie reconnaissante”, “Ai grandi uomini la patria riconoscente”.
Fin dalla Rivoluzione, la Francia ha sepolto in questa antica chiesa, diventata necropoli repubblicana, politici, scienziati, soldati o scrittori di cui voleva onorare la memoria per sempre. Per lungo tempo prerogativa del parlamento, ora spetta al presidente della Repubblica scegliere chi ammettere al Pantheon sulla base delle proposte che gli vengono fatte.
Il prossimo 30 novembre farà il suo ingresso una donna, Joséphine Baker (1906-1975), unendosi alle 80 persone “pantheonizzate” che già vi riposano.
Mentre il tributo può sembrare simbolico, la scelta di portare una personalità nel Pantheon è profondamente politica. Nel 2019 Emmanuel Macron, spesso accusato di “febbre della memoria” per sopperire alla mancanza di tradizione politica del giovane partito En Marche, precisava: “I temi della memoria sono al centro della vita delle nazioni. Che siano usati, repressi o presunti, dicono qualcosa su cosa volete fare con il vostro Paese e la sua geopolitica”. Si tratta dunque di un’equazione storico-politica che il Presidente sembra voler risolvere sin dall’inizio del suo mandato. Dimmi chi metti nel Pantheon, ti dirò che presidente sei e in che epoca vivi.
Joséphine Baker è la terza personalità che il presidente Macron ha onorato dal 2017. “Attraverso questo destino, la Francia intende distinguere una personalità eccezionale, nata americana, che ha scelto, in nome della lotta che ha condotto durante tutta la sua vita per la libertà e l’emancipazione, l’eterna Francia dell’Illuminismo universale”, ha così precisato il Palazzo dell’Eliseo per spiegare la scelta di Emmanuel Macron.
Appena salito al potere, Macron portò Simone Veil (1927-2017) al Pantheon. Personalità a lungo prediletta dai francesi, simbolo di coraggio, senso morale e libertà, questa sopravvissuta ai campi di concentramento, magistrato, ministro della Salute (porterà in Parlamento il disegno di legge sull’aborto), sarà il primo presidente eletto del Parlamento europeo. Avendo saputo trascendere la scollatura destra/sinistra per appartenere a una storia politica di cui oggi tutti pretendono di essere eredi, la scelta di fare entrare Simone Veil, femminista, europeista convinta, al Panthéon era una scelta strategica per Emmanuel Macron, desideroso, commemorando una personalità così unificante, di parlare a tutti, di raccontare la nostra società e imprimere il segno del suo quinquennio.
Secondo panteonizzato, Maurice Genevoix (1890-1980), nel 2020. Combattente e scrittore della prima guerra mondiale, con lui entrano nel Pantheon e nel cuore dei francesi per sempre “quelli del 1914”, il loro sacrificio, il loro coraggio. Incarnano profondamente i valori della Repubblica nel bel mezzo di una crisi sanitaria. Il messaggio è chiaro: Genevoix diventa il simbolo della nazione mobilitata di fronte alla prova, della grandezza e dell’unità.
Con Joséphine Baker, artista nera, cantante, Macron fa un passo avanti nella commemorazione come questione politica e sociale. Offrendole la devozione civile, la indica come Marianne dei tempi moderni, un’icona transgenerazionale che parla tanto ai francesi del dopoguerra quanto a quelli dei movimenti MeToo e Black Lives Matter. Nata povera in un’America segregazionista, immigrata in Francia, bisessuale, è una figura della resistenza durante la seconda guerra mondiale, attivista antirazzista e simbolo della lotta alla discriminazione contro i neri americani. In particolare, nel 1963, partecipò alla marcia di Washington al fianco di Martin Luther King. Il giorno dopo l’annuncio del suo ingresso nel Pantheon, si leggeva sulla stampa: “Questo è un messaggio di universalismo molto forte. Josephine Baker è ciò di cui tutti abbiamo bisogno in questo momento, che è riunirsi. È la prova che nella Repubblica francese tutto è possibile. Che ci sono pari opportunità. E oltre ai diritti, abbiamo anche dei doveri”.
Con la panteonizzazione di Josephine Baker, Macron imprime nell’immagine della Francia il destino unico di questa donna, che non solo racconta una storia repubblicana, ma crea anche un consenso. Questa decisione è stata unanime nella società francese e in particolare nella classe politica.
Di Baker, il presidente ha detto: “Sintetizza cosa vuol dire essere francese, lei che era americana. È impressionante in termini di modernità e abbastanza stimolante”. È stato nell’aprile 2019, all’indomani della crisi dei gilet gialli, che Emmanuel Macron ha menzionato per la prima volta l’espressione “l’arte di essere francesi”. Ha poi detto: “L’arte di essere francesi è allo stesso tempo avere un radicamento ed essere universale, essere attaccati alla nostra storia, alle nostre radici ma abbracciare il futuro. Questa capacità di dibattere tutto costantemente, di non cedere alla legge del più forte ma di portare avanti un progetto di resistenza, di ambizione per oggi e domani”. Una dichiarazione d’amore che risuona come un programma a pochi mesi dalle elezioni presidenziali. Lo dice il filosofo Regis Debray: “Per una generazione che non sa a quale futuro dedicarsi, il teatro della memoria è un cerotto indispensabile”.
Ricordando il passato, commemorando i morti, evocando i loro destini, Macron racconta la volontà di una nazione, l’anima di un popolo unito che incontra il suo destino. Il presidente prepara il futuro e imprime la sua traiettoria.
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