Il mandato Macron probabilmente passerà alla storia come quello dei grandi scontri sociali. Dopo la lunga lotta con i  gilet gialli, oggi siamo al ventesimo giorno di sciopero contro la riforma pensionistica da parte dei trasportatori, a cui si aggiungono i personali ospedalieri, scolastici e dei tribunali. Macron, pur avendo scongiurato una tregua almeno per la vigilia di Natale, ha incassato un ennesimo no: “Alla vigilia di Natale” ci ha detto il corrispondente de Il Giornale da Parigi Francesco De Remigis “rimarranno chiuse sei linee della metropolitana e nel resto del paese viaggeranno solo due treni ad alta velocità su cinque e quattro trasporti regionali su dieci. Gli aderenti allo sciopero sono saliti percentualmente al 50% tra i conducenti delle ferrovie francesi. Il Veglione di Natale diventa a questo punto l’ultimo miglio della protesta prima del discorso presidenziale di fine anno che certamente affronterà il tema della riforma delle pensioni”.



Uno sciopero di cui non si vede la fine: non risparmierà neppure il Natale.

I francesi e i parigini ormai convivono con questo sciopero a oltranza. Le sigle sindacali si rimbalzano una con l’altra i settori che andranno a pesare sulla cittadinanza, ma non ci sarà la tregua natalizia invocata da Macron e governo.

Siamo al ventesimo giorno di sciopero, la gente non è stanca?



No, ancora ieri le fermate della metropolitana si sono ritrovate con nugoli di manifestanti pronti a bloccare l’accesso. Sono state garantite solo due linee, quelle a conduzione automatica. Il problema sarà al rientro dalle vacanze: le festività sono state scavalcate da chi doveva partire, al rientro sarà più dura nonostante gli sforzi del governo per una trattativa che sia i sindacati che le opposizioni politiche definiscono pazzesca. È già stata indetta una nuova grande manifestazione interprofessionale il 9 gennaio.

Interprofessionale significa di tutte le categorie, non solo i trasporti come adesso?



Esatto. Ci saranno grossi problemi negli ospedali, dove il personale ha già aderito alle passate manifestazioni, nei tribunali, dove gli avvocati sono sul piede di guerra, nelle scuole e via dicendo.

Dopo i gilet gialli adesso le pensioni: sembra che la presidenza Macron sia segnata da una conflittualità sociale raramente visita in passato, è così? Si può definirlo in competizione con il popolo?

Gli ultimi eventi hanno messo a nudo la Macronia, come dicono i francesi. In questo caso il volto di uno staff che agisce in maniera condivisibile o meno. C’è stato il caso delle dimissioni dell’Alto commissario per le pensioni che per due anni ha spiegato la trattativa sulla riforma dicendo di portarla avanti nel rispetto delle parti. Poi si è dovuto dimettere proprio lui, che chiedeva ai membri del governo di essere irreprensibili, a causa di un probabile procedimento giudiziario. Questo è solo l’ultimo tassello che contorna Macron.

Altri esempi di questa Macronia?

C’è il caso del premier Philippe, che negli ultimi giorni di trattativa ha usato una metodologia di azione a dir poco imbarazzante. Se un primo ministro convoca i sindacati per una consultazione c’è differenza da un incontro in cui si scrivono insieme dei punti di una riforma. Aveva assicurato una discussione e alla fine si è ritrovato da solo a dire “noi facciamo la riforma, voi continuate a scendere in strada, un accordo lo troveremo e se non lo troveremo andremo avanti lo stesso”.

Nella massa di manifestanti c’è una trasversalità politica?

Non esattamente, la Francia diventa trasversale se si mette in dubbio lo spirito rivoluzionario storico che la contraddistingue. Sulle tematiche singole come le pensioni c’è una Francia spaccata in due.

In quali posizioni?

I neo gollisti in gran parte assorbiti da Macron trovano l’appoggio di chi ha votato a destra, la riforma è promossa dal premier Philippe che non a caso viene dai gollisti. C’è poi una parte di elettori della sinistra radicale o di socialisti, quasi scomparsi percentualmente, che ironizza sulla riforma e sulla proposta di Macron di tagliarsi il vitalizio. La sinistra storica si è trovata impreparata di fronte all’ondata Macron e a un percorso riformista a cui non sa come rispondere. Di conseguenza il paese è spaccato.

Parlando invece di esteri, sembra che ultimamente la Francia sia un po’ scomparsa dallo scacchiere libico.

No, non è così. Siamo in una fase interlocutoria ma non si è affatto ritirata dalle scene. Sicuramente tiene in silenzio il ministero degli Esteri per evitare situazioni mediatiche pericolose. Macron è stato quasi un protettore di Haftar e ultimamente è stato sovrastato da Russia, Turchia ed Emirati Arabi, ma come si è visto al vertice di Macron e Merkel a cui ha preso parte anche Conte, sul campo le cose vanno diversamente.

Cioè?

Da quando il paese è stato ridotto alla guerra civile diventa complesso muoversi. L’Italia dopo una prima fase di svantaggio nei confronti della Francia ha fatto sentire la sua presenza sul territorio, una presenza fisica e ben radicata. Quella francese deve fare i conti con una posizione dell’Eliseo meno pratica di quanto gli stessi libici si aspettavano. Russia e Turchia si muovono senza temere ritorsioni e senza aspettare alcuna autorizzazione.

Per cui la Francia è sempre in gioco. In che modo?

Haftar sulla carta è il miglior nemico dell’Isis, e questo è d’interesse primario per la Francia di Macron, che fa ancora i conti col pericolo attentati, sia in patria sia in missioni estere (in Mali, per dire, è stato fermato un commando terrorista pronto a far saltare soldati transalpini). A Tripoli sono più  presenti i Fratelli musulmani, ed anche gruppi jihadisti, ed è qui che invece gioca la sua partita la Turchia di Erdogan. L’8 gennaio è previsto un incontro tra Putin e il presidente turco per discutere la situazione libica.

Che scopo ha?

Mosca ha fatto sapere di sostenere qualsiasi sforzo internazionale per trovare soluzioni alla crisi libica. Su questo, nonostante le oscillazioni del presidente francese tra il sostegno politico ad Haftar e il rispetto internazionale mostrato in qualche modo per Sarraj, Parigi gioca la sua partita. Garanzie ce ne sono poche, oltre a un piano economico oggi quasi insondabile in una geografia in divenire. Quindi mi pare che l’Eliseo stia dalla parte dell’uomo forte che può tentare di frenare l’ascesa dell’islamismo politico e radicale. Ma questo è ancora tutto da vedere.

Macron, in visita in Costa d’Avorio, ha promesso per il prossimo mese di giugno l’abolizione delle due monete francesi, il Franco Cfa-Cemac e il Franco Cfa-Uemoa in uso da decenni nelle ex colonie di Parigi. È una svolta storica o solo di facciata? Cosa cambierà?

Il cambio è già approvato, la nuova moneta si chiamerà Eco. Questo a livello formale, mentre a livello sostanziale cambierà poco perché entrambe le valute sono garantite dal tesoro francese e sarà difficile farlo venir meno, così come il peso della Francia sui mercati africani. Non cambierà nulla, come il fatto che le colonie sono diventate indipendenti non ha cambiato il peso politico ed economico su di loro dei paesi che ne detenevano il potere.

(Paolo Vites)