Dopo i gilet gialli Parigi e molte altre città francesi sono state invase da centinaia di trattori provenienti da diverse regioni. In realtà, questa manifestazione di agricoltori e allevatori segue di pochi giorni quelle tenutesi in Olanda e in Germania per gli stessi motivi: un malcontento generale verso le politiche dei rispettivi governi. Sono in atto aumenti dei costi produttivi e delle tasse a fronte di un calo dei prezzi di vendita e della rimozione delle quote su alcuni prodotti. In Francia tutto questo ha fatto crollare i redditi anche del 40% negli ultimi anni. Secondo Francesco De Remigis, inviato a Parigi per Il Giornale, “sta uscendo allo scoperto una situazione di crisi che ha covato negli ultimi anni, partendo da prima dell’avvento di Macron, il quale però ha spesso snobbato il settore dell’agricoltura, un tempo bandiera della Francia, a favore dell’innovazione tecnologica e delle start up”.
Agricoltori in piazza per fare pressione sul governo in vista dell’apertura dei negoziati commerciali con la grande distribuzione, ma anche accuse agli accordi di liberalizzazione commerciale firmati dalla Francia e dall’Unione Europea. Che cosa chiedono i manifestanti?
I temi sono quelli che ha citato lei. È in atto una dimostrazione di forza e la stessa presenza dei trattori è un simbolo significativo, il cui scopo è attirare l’attenzione dei media, mentre alcuni rappresentanti sindacali hanno chiesto di incontrare Macron.
Il Movimento dei trattori è nato in Olanda, giusto?
Sì, poi è apparso anche in Germania e adesso a Parigi. I problemi sul piatto sono diversi da paese e paese, ma una protesta così massiccia – a Berlino 5mila trattori hanno bloccato la città – ha ottenuto il risultato di sorprendere l’establishment politico. Dal punto di vista delle rivendicazioni, gli agricoltori vogliono essere ascoltati perché hanno di fronte un ventaglio di prospettive che appaiono fosche, soprattutto in vista della nuova trattativa con la grande distribuzione.
Quali sono le richieste?
È significativo l’hashtag dei manifestanti francesi: “salva il contadino”. Non chiedono sussidi o soldi, ma proprio la salvaguardia dei loro posti di lavoro, chiedono di poter vivere con il proprio lavoro. Si sentono dimenticati.
Di chi è la colpa di questa situazione? Tutta di Macron?
No, ha radici più lontane ed è stata una caduta graduale. Il momento storico che viviamo è rappresentativo di un malessere sociale che porta la gente non ancora a ribellarsi, ma a farsi sentire.
C’è un punto di contatto tra questi manifestanti e i gilet gialli?
C’è chi li ha equiparati, ma non sono di questo parere. Sussistono forti divergenze e motivazioni molto diverse. La situazione si è sedimentata ed è andata via via peggiorando, c’è un aspetto che va oltre i negoziati commerciali e che ha gradualmente tagliato i prezzi dei prodotti un po’ in tutta Europa. Chiedono impegni certi a Macron, perché garantisca una prospettiva chiara al settore agricolo, una bandiera della Francia che oggi è diventata secondaria rispetto all’innovazione e alle start up, a cui Macron ha dato sempre più spazio.
Si può invece paragonare questa protesta con quanto succede in Germania?
Paradossalmente questo malcontento comune potrebbe unire i due contendenti che sono Macron e la Merkel. Tra loro nelle ultime settimane non corre buon sangue, ma sono chiamati a trovare una soluzione che sia vantaggiosa per entrambi. Trovare, cioè, una idea comune franco-tedesca per cambiare le regole europee.
In questo quadro, il cosiddetto Green New Deal invocato dalla signora von der Leyen quanto conta?
La posizione di Macron è emersa con la grande maggioranza di voti che la von der Leyen ha ottenuto. Ora il problema è come attuare questo piano, che dovrebbe dare una politica economica comune a tutta l’Europa, non più come somma degli interessi nazionali singoli. Ma vedo un grosso problema.
Quale?
Possono certo dire che l’Europa debba avere politiche comuni, ma ogni singolo paese ha esigenze e caratteristiche profondamente diverse. Già si è visto che la discussione è aperta, non c’è un accordo e diventerà accesa e più lunga di quanto le parole della von der Leyen lascino presagire.
Ha accennato a una idea franco-tedesca comune. A cosa si riferisce?
In un momento in cui Francia e Germania sono agli antipodi anche su alcuni temi internazionali, come la Nato, la conferenza per cambiare le regole europee potrebbe tornare utile a entrambi. Per Macron i cittadini dei paesi Ue dovrebbero essere coinvolti nel dibattito, un po’ come successo con i gruppi di proposta che hanno dato risultarti positivi nel confronto con i gilet gialli. Già si parla dell’ex premier liberale belga Verhofstadt che potrebbe guidare questa commissione. Consentire ai cittadini europei di partecipare a una consultazione sarebbe un segnale forte, una risposta alle manifestazioni di questi giorni.
In che modo?
Il primo step di risposte della politica potrebbe passare dall’allargamento del dibattito alle varie categorie, sindacati e agricoltori, da coinvolgere in una discussione comune. Politicamente c’è una situazione simile fra i due paesi.
Dove la si può vedere?
In Baviera tradizionalmente Csu e Cdu sono i partiti dei contadini, ma oggi la Germania è alle prese con una grave crisi politica. Non dare risposte e non interpellare i cittadini significherebbe lasciare questo patrimonio elettorale alla destra nazionalista, l’AfD. Stessa cosa in Francia, dove Marine Le Pen è pronta a farsi paladina degli allevatori. Macron è ben consapevole di questo e dietro le quinte dei palazzi europei si parla già di questa possibile soluzione, che potrebbe aprire un dialogo tra la lontana politica europea e quelle categorie che devono fare i conti con la crisi, come appunto gli allevatori e gli agricoltori.
(Paolo Vites)