Adesso la vera novità nella corsa presidenziale non è più Zemmour: si chiama Valérie Pécresse, spiega da Parigi Francesco De Remigis, inviato del Giornale. “È lei l’anti-Le Pen, non Zemmour. Ha le carte per sparigliare i sondaggi e andare al secondo turno con Macron”.
Domenica Éric Zemmour, l’ex giornalista del Figaro che impersona l’estrema destra, si ispira a De Gaulle e Napoleone e vuole riconquistare i quartieri degradati liberandoli dai musulmani, ha lanciato dal palazzetto della banlieue parigina di Villepinte la sua corsa all’Eliseo. Al suo arrivo, Zemmour è stato ferito a un polso da un militante di Sos Racisme; a quel punto, una dozzina membri dell’associazione, che indossavano magliette contro Zemmour, sono stati malmenati dai sostenitori del leader. Altra preziosa farina nel mulino della macchina elettorale di un outsider che ha già, di fatto, decretato la condanna elettorale di Marine Le Pen.
Grandeur scenografica, promesse di “Riconquista” (il nome del partito) e botte da orbi. Cosa resta del “récit national” impersonato da Zemmour a Villepinte?
Da quando le sue “apparizioni” pubbliche sono iniziate, prima come semplici presentazioni di libri, poi a Villepinte come candidato all’Eliseo, Zemmour ha sempre giocato a carte coperte, con furbizia.
E perché?
Questo gli ha permesso di avere più seguito, con relativa crescita nei sondaggi, e la sinistra antagonista ha quindi cambiato bersaglio: non più Le Pen ma Zemmour.
La sua “credibilità presidenziale” sta aumentando o diminuendo?
Non mi pare che Zemmour sia interessato a rendersi un candidato credibile, non gli conviene. Zemmour fa Zemmour, e questo per ora gli è sufficiente per riempire un palazzetto, “scoprire” che al suo interno ci sono dei contestatori di Sos Racisme, che peraltro si erano già palesati nell’udienza in tribunale di qualche giorno fa. Come non aspettarseli? Non essendo uno sprovveduto, il polemista più noto di Francia ha scelto un luogo simbolo, una banlieue tra le più problematiche, per gridare al tradimento delle élites e di una destra che “ha smesso di fare il proprio lavoro”. E ha ottenuto esattamente ciò che secondo me auspicava.
E cioè?
Contestazioni e relative difese della sua “base”, sempre più affezionata a un ex editorialista del Figaro che solletica la pancia di un Paese disaffezionato ai politici e alla politica.
Che cosa fa breccia di lui? Evidentemente parliamo dell’elettorato di destra. La “Réconquête”? O cos’altro?
Anzitutto credo che il suo non essere un politico di professione abbia influito moltissimo in questa primissima fase di gara elettorale. Questa “libertà”, data dal non essere un candidato istituzionale, gli ha permesso di dire pubblicamente frasi inaccettabili in Francia, per un politico: sugli ebrei, sui musulmani, sulla cittadinanza e persino sulla storia che ben conosce.
È per questo che ha spiazzato Le Pen?
Sì. Le Pen ha un consenso di partito, sgretolatosi già da prima dell’avvento di Zemmour. Non a caso sul palco di Villepinte c’era pure Paul-Marie Couteaux, alto funzionario in passato vicino ai lepenisti, oggi con Zemmour.
C’è un andamento singolare nei rispettivi sondaggi: il Rassemblement national inizia a scendere nel giugno 2021, proprio quando Zemmour inizia a salire. Poi in ottobre c’è un’inversione speculare: Le Pen risale, Zemmour scende. Cosa puoi dirci?
È quello che intendevo: man mano che la sua candidatura si andava ufficializzando, Zemmour perdeva l’allure di battitore libero. E credo che Le Pen risalirà nei sondaggi, sono a un’incollatura. BleuMarine sta seguendo una prospettiva altalenante, nei discorsi: talvolta più ruvidi, in altre occasioni più istituzionali.
Semplice strategia?
La verità è che la Le Pen candidata all’Eliseo fatica a capire a quale elettorato rivolgersi, se a quello storico del Front National diventato Rassemblement national, a quello della destra, o persino ad alcuni elettori di sinistra.
Come vedi il match Le Pen-Zemmour?
Le Pen non ha sfondato nei sondaggi, sembra cioè perdente quasi sistematicamente al secondo turno a prescindere da Zemmour. Per suoi demeriti. Non ha trovato una quadra nel suo percorso di normalizzazione. Il suo delfino Bardella doveva dare una marcia in più ai lepenisti, mi pare che abbia fatto ingranare la retro.
Che spazi ci sono per Valérie Pécresse, vincitrice alle primarie dei Républicains?
Ne vedo molti, è lei l’anti-Le Pen. Non Zemmour, non Macron che gioca una partita a sé al primo turno. Pécresse è una donna, rieletta con altissimo gradimento nella regione più sofisticata di Francia. E ora, nel partito neogollista orfano di Sarkozy, ha avuto anche l’endorsement dei suoi avversari interni.
Macron appare stabile. Cosa prevedi per lui?
Macron quando fletteva lo faceva di pochissimo. Ora si è stabilizzato, con punte del 27%. È un presidente che ha congelato le riforme più scomode, e che punta a realizzarle nel secondo mandato anche se non si è ancora formalmente ricandidato. Mi pare che da equilibrista qual è si sia mosso bene, specie in questa seconda fase della pandemia, nella comunicazione intendo, ma anche nella fermezza delle scelte in materia di passaporto sanitario e obblighi vaccinali “di categoria”. Questo lo ha aiutato a superare le varie crisi di inizio mandato, dai gilet gialli a quelle personali, vedi il caso Benalla, l’ex bodyguard di cui ormai non si parla più nonostante la gravità dei fatti riconosciuta da una condanna in primo grado.
Hidalgo e Mélenchon non impensieriscono Macron a sinistra?
No, sono due sinistre che si infastidiscono a vicenda da tempo, ormai. Macron li ignora e punta agli indecisi, un popolo che non sa se verdi e sinistre faranno un’alleanza o se continueranno a guerreggiare per ragioni di cartello.
Cosa sta succedendo a sinistra?
Quella socialista e quella massimalista si sfidano vicendevolmente per rubarsi pezzi di militanza, della gauche intendo. Ma l’elettorato di massa, non militante, è più volatile e non mi pare che abbia voglia di stare dietro alle beghe di un leader che forse non è più neppure da considerare tale, come Mélenchon, crollato col suo partito, né tanto meno alla sindaca di Parigi che ha ricevuto un endorsement da parte dell’ex presidente Hollande, socialista, non per il valore riconosciutole ma per il fatto che è lei la candidata del Ps e Hollande vota “sempre socialista”.
Non un bell’inizio insomma.
No, infatti. E certo insufficiente a insidiare le percentuali necessarie a Macron per arrivare comodamente al secondo turno.
Chi andrà al secondo turno contro il presidente uscente?
Pécresse potrebbe sparigliare i sondaggi. Se guardiamo alle scorse elezioni locali i neogollisti sono tutt’altro che morti. Ed essendo una donna forte, affermata non grazie al partito ma grazie al suo carisma, potrebbe farcela. Lo stesso Sarkozy, di cui lei fu ministra, ha commentato così le primarie con chi chiedeva se avrebbe dato una mano all’uno o all’altro dei cinque candidati per la corsa gollista: “Se un leader ha bisogno del mio aiuto per vincere, non è un leader”.
Perché nonostante Macron sia inviso alla maggioranza dei francesi, al secondo turno questa maggioranza voterà per lui?
Non mi pare che il gradimento sia così basso, specie se guardiamo a Hollande e Sarkozy, solo per stare agli ultimi due predecessori. Nel periodo luglio-settembre, il 42% dei francesi considerava l’attuale capo dello Stato un “buon presidente” secondo Odoxa: 11 punti in più rispetto alla popolarità di Sarkozy nel 2011 e più del doppio di quella di Hollande nel 2016.
Come si spiega questa popolarità?
Quando si è candidato, ed in pochi mesi è diventato presidente, fu bollato prima come ex banchiere, poi subito come presidente dei ricchi, mentre oggi, su quello stesso “presidente dei ricchi”, messo alla prova e ormai a fine mandato, sono venuti meno molti degli scetticismi di allora.
(Federico Ferraù)
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