“La riforma passerà, le modifiche saranno davvero minime, non certo sull’età a 64 anni”. La previsione di Francesco De Remigis, inviato a Parigi per Il Giornale, si avvererà probabilmente a breve.
Intanto, però, in attesa del voto finale, la Francia si è mobilitata, riempiendo le piazze contro la riforma delle pensioni voluta da Macron, bersagliata perché alza l’età pensionabile, ma che vuole mettere ordine nella selva di regimi speciali adottata finora nei confronti delle diverse categorie. Macron, comunque, sembra avere i voti per farla passare.
Come è andato lo sciopero, è stato molto partecipato come a gennaio?
Apparentemente, di più. Secondo i sindacati, quasi 3 milioni e mezzo di manifestanti in tutto l’Esagono. Le immagini mostrano piazze piene non solo a Parigi ma nelle altre città, con 240mila persone a Marsiglia e oltre 200 cortei nel Paese, in un giorno infrasettimanale in cui per essere in piazza i lavoratori devono rinunciare alla paga. E con la crisi che c’è, e l’inflazione, è un gesto sicuramente da sottolineare. Il numero anche per questa ragione è importante. Ci sarà probabilmente un bis sabato, l’appuntamento chiave, perché tempo una settimana e il provvedimento, che ora staziona al Senato per le ultime limature, andrà all’Assemblea nazionale per essere votato ed entrare gradualmente in vigore.
Nel frattempo i sindacati vogliono farsi sentire.
Sì, combattono contro il tempo. E stavolta l’hanno fatto anche lasciando scorrazzare 300-400 black bloc che si sono resi protagonisti di danneggiamenti a Parigi, con lanci di pietre e sassaiole contro la Polizia, che naturalmente ha risposto. C’è voglia di fare un po’ più di chiasso. Sappiamo bene che quando in una manifestazione non si registrano scontri poi non se parla così tanto. I sindacati oggi hanno in qualche modo chiuso un occhio sui casseur, sì infiltrati, ma di fatto tollerati.
La protesta aveva già riempito le piazze nelle prime manifestazioni, ora è montata ulteriormente? E la riforma, nel frattempo, ha subito qualche modifica che tenesse conto delle critiche?
Ci sono state delle limature minime, ma non per quanto riguarda l’età pensionabile che è il vero nodo. La protesta, principalmente, è sull’innalzamento a 64 anni (con 43 anni di contributi) da 62.
Le modifiche riguardano anche altro?
La battaglia di Macron è pure su quei regimi pensionistici speciali, che sono decine e decine, dai lavoratori della Ratp, il sistema dei trasporti di Parigi, fino ai dipendenti del settore gas ed elettricità, del personale della Banca di Francia e del Consiglio economico, sociale e ambientale. Insomma, non parliamo solo di conducenti di autobus e mezzi pubblici a Parigi (che in certi casi hanno un sistema diverso rispetto al resto della Francia) ma anche di certi funzionari.
Si vogliono togliere le disuguaglianze?
Sì, l’idea di Macron è quella di eliminare quelle che sono palesi disuguaglianze nel 2023, e portare gradualmente la Francia, oltre a risanare i conti pubblici che altrimenti non reggerebbero da qui ai prossimi anni perché mancherebbero i soldi per pagare le pensioni, a un pareggio dei conti con le categorie finora protette, che hanno vissuto nel privilegio per decenni.
La riforma, insomma, si muove su due fronti.
Ci sono due battaglie e due tipi di risposte: l’età pensionabile è il totem contro cui si scagliano 7 francesi su 10, ma tra chi protesta in piazza o appoggia la piazza, fino a tollerare il blocco del Paese, ci sono anche alcuni alti funzionari che non gradiscono questa riforma perché va a toccare i regimi speciali. La Francia rispetto ad altri Paesi d’Europa è una privilegiata per quanto riguarda il regime pensionistico. E oltre ad avere un’età molto bassa in cui si va in pensione rispetto al resto d’Europa, c’è anche questo aspetto dei tanti regimi speciali per cui ogni categoria ha regole che negli anni si è data un po’ da sé. A spese, pur versando tutti i contributi, di uno Stato che spende talmente tanto in sostegni sociali e aiuti che se dovesse continuare a pagare le pensioni assecondando i regimi speciali non avrebbe più soldi da qui a pochi anni.
Vuol dire che parliamo di un sistema non più sostenibile in termini di debito pubblico?
Questo è stato dimostrato dal ministero dell’Economia, da tutti i tecnici francesi che hanno supportato l’Eliseo in questa operazione. Ma c’è di più: era una promessa elettorale di Macron. Molti di quelli che erano in piazza oggi dovrebbero chiedersi se hanno letto bene il programma quando lo hanno votato al secondo turno contro Marine Le Pen.
Il progetto in origine non era perfino più restrittivo?
Macron inizialmente voleva l’età pensionabile a 65 anni, quindi ha già un po’ rimodellato il progetto. E ha concesso qualcosa ai neogollisti. C’è una rabbia che cresce, ma molti di quelli che sono in piazza dovrebbero arrabbiarsi con se stessi. Le altre riforme tentate in passato in Francia da Sarkozy, da Chirac, che videro soprattutto con Chirac milioni di francesi in piazza per settimane, erano motivate, perché all’epoca si disse che lo Stato doveva modificare il sistema pensionistico ma senza che fosse stato inserito nel programma elettorale.
La riforma ha qualche punto debole che la rende attaccabile?
Certamente, come tutte le riforme radicali che si fanno in un Paese grande e talmente frammentato come la Francia, però sono più gli aspetti che vanno a riformare un sistema che è, appunto, frammentato, ingiusto per tante persone che, per esempio, in alcune categorie, se lavorano a Parigi o lavorano in campagna possono avere un sistema diverso. Questa cosa nel 2023 è fuori dal tempo. Macron lo ha detto in campagna elettorale, sta provando ad agire.
È migliorabile?
Certo, si può sempre migliorare perché ci sono delle parificazioni un pochino drastiche. Le donne con figli potrebbero avere qualche tutela in più. I casi sono tanti, quelli che riguardano i cosiddetti lavori usuranti, che teoricamente dovrebbero essere un po’ più tutelati e tante altre categorie. L’elenco è lungo. Macron ha però cercato di dare un segnale complessivo ricordando che la Francia non può essere un Paese europeo in cui alcuni vanno in pensione anche a 59-60 anni.
Ha i voti per far passare la riforma?
Alla fine i voti dovrebbe trovarli soprattutto con l’appoggio dei repubblicani, i neogollisti di centrodestra, anche se non tutti si son detti disponibili. L’attuale reggente del partito Eric Ciotti ha dato garanzie alla premier Borne sul sostegno alla riforma. Quindi i numeri dovrebbero esserci. I macroniani che non la voteranno saranno espulsi dal partito.
E se non ci fossero i numeri?
All’ultimo momento il jolly del Governo è il ricorso all’articolo 49.3, una forzatura parlamentare con cui sostanzialmente si blinda un provvedimento, per cui o c’è una sfiducia al Governo, e non ci sono i numeri per sfiduciare Macron, visto che le opposizioni sono divise, oppure il provvedimento passa in automatico. Le diverse strade prese da Le Pen e Mélenchon, inconciliabili, danno di fatto all’Eliseo un grande aiuto in questo passaggio.
(Paolo Rossetti)
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