Il titolo del suo ultimo articolo uscito su Le Figaro è “gli italiani si allontanano dall’Europa”. È un amore deluso, quello dell’Italia per l’Unione, dice Marc Lazar, storico e sociologo della politica, amabilissimo conversatore di cose italiane in un italiano perfetto. Lazar insegna a Sciences Po (Parigi) ed è presidente della School of government della Luiss. Il nostro paese attraversa una crisi gravissima, dice al Sussidiario. Conte è destinato a sparire, la divisione sociale ad aumentare, il Pd è un partito senza progetto e senza leadership, l’euroscetticismo avanza. E tuttavia Lazar è ottimista, perché tra tante difficolta coglie segni di identità nazionale crescente.
Marc Lazar, in un recente articolo sul Figaro ha avanzato dubbi sullo stato di salute della democrazia italiana. Qual è la cura?
Domanda difficile. In Italia c’è da diversi decenni una sfiducia verso i partiti e la classe politica. La crisi del Covid-19 e le sue conseguenze finiranno per accentuarla. Le soluzioni? Parlerei di sfide. La prima è ricordare il fondamento della democrazia liberale rappresentativa.
Dove sta il problema?
Possiamo parafrasare la famosa frase di Enrico Berlinguer al momento del colpo di Stato in Polonia nel 1981: “si è esaurita la spinta propulsiva della Rivoluzione d’Ottobre”. Si può dire lo stesso della nostra democrazia.
È un compito che appare astratto. Come si fa ad indurre una maturazione politica?
La memoria in effetti non basta. C’è un lavoro pedagogico da fare per confermare il valore della democrazia liberal rappresentativa, a cominciare dai suoi cardini. C’è la libera competizione politica, c’è una maggioranza che vince e una minoranza che sta all’opposizione. Ma nemmeno questo è sufficiente, ci vuole un salto di qualità.
A che cosa pensa?
I cittadini non vogliono più aspettare cinque anni per votare. Siamo in un contesto diverso da prima e per rispondere alla crisi della democrazia bisogna avere più democrazia.
In Italia i partiti, ammesso che siano ancora partiti, hanno perduto la loro capacità di intermediazione.
Verissimo. C’è una crisi storica dei partiti politici. Debbono totalmente riorganizzarsi. A mio avviso non spariranno, ma la democrazia ha bisogno di partiti basati su forme di mediazione rinnovate e di forme nuove di partecipazione dei cittadini. È un grande lavoro da fare, ma questo è il compito.
In che modo si potrebbe intervenire?
Si potrebbero coinvolgere i cittadini in conferenze con accesso basato sul sorteggio per fare proposte al parlamento e al governo… Servono partiti più aperti. La tecnologia moderna mette a disposizione molti mezzi. Una postilla importante.
Quale?
Tutto questo non vale solo per l’Italia, vale anche per la Francia.
E poi?
Bisogna far valere l’idea che la politica è un mestiere.
In Italia è un’idea sicuramente impopolare.
Lo so. Ma la politica è un mestiere perché significa avere delle competenze. La politica è divenuta impopolare perché per troppo tempo è diventata una carriera a vita. Invece occorre aprire la politica a gente giovane, di estrazione più popolare, che però va formata.
M5s ha portato in Parlamento dei perfetti sconosciuti, che però tengono in piedi il governo perché se venissero sciolte le Camere molti di loro non avrebbero un lavoro.
È normale che sia così. Infatti occorre trovare un modo per cui chi viene eletto può domani tornare al suo lavoro. Altrimenti chi fa politica? I professori o chi proviene dall’amministrazione pubblica o dalle libere professioni, persone che se non vengono elette possono senza alcuna fatica tornare dov’erano.
L’alleanza M5s-Pd sembrava instabile, invece si sta rivelando solida nonostante tutto. Perché?
Perché la loro unica preoccupazione è quella di impedire elezioni anticipate e di combattere Salvini. Sappiamo bene che hanno tante divergenze, e che ognuno dei due ha fatto il suo piccolo calcolo politico per prendere voti all’altro. M5s è diviso e il suo futuro è incerto; quanto al Pd, non si capisce qual è il suo progetto, la sua identità. E ha un enorme problema di mancanza di leadership.
Chi comanda oggi in Italia?
È una bella domanda… Quelli che dimostrano di avere un ruolo importante sono il presidente del Consiglio e il presidente della Repubblica. Il primo era molto impopolare prima del Covid, adesso è forte nei sondaggi ma la sua popolarità mi sembra legata al ruolo istituzionale. Non credo che avrà un grande futuro perché non ha parlamentari e non ha un partito. Sarà complicato per lui.
E il Capo dello Stato?
Cerca di garantire l’unità nazionale, assicurando la coesione e la solidarietà nazionale in un momento gravissimo per l’Italia.
Gravissimo per quali ragioni?
Il paese è caratterizzato da due elementi contraddittori. Da una parte la divisione quasi ancestrale per l’Italia tra Regioni del Sud e Regioni del Nord. Adesso riemerge in modo prepotente. Dall’altra, la contrapposizione che continua a segnare la vita politica: fascisti e antifascisti, comunisti e anticomunisti, pro o contro Berlusconi, pro o contro Renzi, pro o contro Salvini… le differenze politiche sono il sale della democrazia, ma in Italia queste divisioni sembrano diventare sempre più dure e acute. E poi l’Italia va incontro a divisioni sociali forti.
Pensa all’aumento della disoccupazione che ci aspetta?
Sì. C’è chi è iper-protetto come tutti quelli che lavorano nel pubblico e chi è e sarà ancor più esposto alla crisi, autonomi e piccoli imprenditori. Però c’è una cosa che mi colpisce sempre. Voi italiani fate di tutto per aggravare questa atmosfera da guerra civile per fortuna solo metaforica, ma la pandemia ha dimostrato l’esistenza di qualcosa che ho iniziato a vedere negli anni 80, un senso di solidarietà nazionale vivo e in aumento.
Quali sarebbero le prove di questo sentimento, a suo modo di vedere?
Siete divisi, ma cercate al tempo stesso elementi di unificazione e di solidarietà sia di fronte a un’epidemia gravissima, sia verso altri paesi, come Francia e Germania. Quando è esploso il Covid-19 avete esposto il tricolore sui balconi e cantato l’inno, non ho visto la stessa cosa in Francia, dove pure ogni sera si faceva l’applauso al personale medico. Noi però non abbiamo cantato la Marsigliese né esposto la bandiera.
Questo per l’epidemia. Perché ha citato Francia e Germania?
Siete pronti a litigare su tutto, ma se uno critica l’Italia, o di fronte all’arroganza francese – che esiste –, o all’arroganza tedesca – che esiste –, o di fronte all’Ue che secondo buona parte degli italiani tratta male l’Italia, vedo più identità nazionale che in passato.
I debiti pubblici aumenteranno. I fondamentali della Francia non sono molto migliori dei nostri, eppure la Francia è storicamente incline ad una relazione strategica con la Germania, che ha fatto delle regole europee uno strumento politico per imporsi sul continente. Non pensa che a Francia e Italia convenga trovare un’alleanza più stretta?
L’hanno trovata e questa è una grande novità, se pensiamo alla crisi diplomatica dell’anno scorso. Conte e Macron si sono coordinati durante la crisi del Covid e con il sostegno della Spagna hanno fatto pressioni sulla Germania per contrapporsi agli altri paesi che rifiutano tutte le proposte di aiuto economico. Ci sono riusciti, perché la Merkel ha cambiato posizione. Eppure, al rapporto strategico con Berlino, Parigi non rinuncerà mai.
Allora è lei stesso a confermare lo scetticismo italiano su questo punto. Perché tale rapporto è irrinunciabile?
Non sono un ambasciatore, le rispondo da studioso. Innanzitutto per le ragioni storiche che tutti conosciamo: le troppe guerre tra Francia e Germania e la necessità di avere un accordo perfetto tra Parigi e Berlino per impedire un ritorno dei nazionalismi.
Un altro motivo?
Un secondo elemento è l’essere stati entrambi il motore della costruzione europea, il fatto che la Francia e la Germania agiscono più o meno insieme. È vero che questa linea strategica oggi ha alcuni importanti limiti.
Quali sono, secondo lei?
Il più evidente è che Francia e Germania hanno economie molto diverse e non è un caso che anche la Francia sia criticata dalla Germania per il suo alto debito pubblico. Un altro limite è è che molti paesi specialmente dell’Europa centrale e orientale non capiscono il motore franco-tedesco e lo osteggiano.
Lei che cosa risponde?
L’accordo franco-tedesco è fondamentale per il futuro dell’Ue. Sono i due più importanti paesi dell’Unione, le loro economie sono le maggiori d’Europa, l’Italia è la terza, anche se come economia industriale è la seconda e viene prima della Francia. E tuttavia bisogna pensare a un altro tipo di accordo, non così esclusivo, non più così arrogante. Non basta più il matrimonio franco-tedesco, serve ma una famiglia allargata.
Senza sciogliere il matrimonio, mi par di capire.
Senza scioglierlo. Il cemento è nella coppia franco-tedesca, ma la casa è allargata.
È l’alto debito pubblico che spiega la debolezza dell’Italia ai tavoli europei?
Non solo. Attualmente c’è grande inquietudine nelle capitali europee per la situazione italiana, non solo sul piano economico. Le debolezze dell’economia francese e di quella tedesca sono note, ma ciò che soprattutto preoccupa dell’Italia non è l’alto debito, è l’incertezza politica, da cui l’instabilità politica. Oltre ovviamente alla crescita dell’euroscetticismo, amplificato da partiti come Lega e FdI che hanno un consenso importante.
L’Unione Europea riuscirà a superare la crisi economica post-Covid-19 o la vedremo disgregarsi?
L’Ue è in un momento di grande incertezza, aggravato in un primo tempo dalle indecisioni della Commissione e dalle dichiarazioni di Lagarde in marzo. Poi però ha stanziato tanti aiuti come mai nella sua storia in un tempo abbastanza rapido. C’è un problema. Quello che gli italiani – come i francesi – non vedono è la concretezza di questi miliardi. Cosa significa concretamente, oggi, Next Generation Eu?
Ancora niente.
Appunto. Se il 19 giugno la Commissione von der Leyen riuscirà a concretizzare il sostegno, potrà cambiare qualcosa. Ma non sarà sufficiente, soprattutto per l’Italia, perché quello dell’Italia per l’Europa è un amore deluso. La cicatrizzazione è lunga e richiederà un lungo lavoro pedagogico a base di innovazione e di democrazia europea. Siamo davanti a un enorme cantiere che non può essere solo economico e sociale.
(Federico Ferraù)