La fornitura di armi all’Ucraina mette sempre più in difficoltà Olaf Scholz. Il cancelliere tedesco preferisce finanziare l’Ucraina perché alimenti l’industria tedesca invece di fornire armi direttamente a Kiev – riferisce Repubblica –, ma il governo ucraino dice che così non va bene, che servono armi pronte subito. Un orientamento, quello di Scholz, che lo mette a disagio con gli impazienti alleati Nato ma anche in Germania, stretta tra la volontà di Washington e le pressioni degli imprenditori e dei sindacati tedeschi, preoccupati per le ricadute disastrose dell’embargo al gas russo.
In Germania si assiste a un problema di coscienza collettiva, ci dice da Berlino Edoardo Laudisi, scrittore e traduttore, autore nel 2020 di Germania anno nero. “La guerra sta mettendo fine alla piccola età dell’oro tedesca e allo stesso tempo rivela quello che tutti sapevano ma nessuno voleva vedere: dal punto di vista geopolitico la Germania rimane una succursale degli Stati Uniti”, spiega Laudisi al Sussidiario.
Cosa dicono i sondaggi tedeschi sulla guerra in Ucraina?
Secondo il sito demoscopico tedesco Statista, che raccoglie i sondaggi più significativi su questo argomento, il 91% dei tedeschi è molto preoccupato per la situazione in Ucraina. L’80% teme una recessione economica dura, il 76% è preoccupato che l’eventuale blocco alle forniture del gas causi uno shock economico forte mentre il 65% dei tedeschi teme che il conflitto possa estendersi nel resto dell’Europa.
Sono dati pesanti.
Molto. La cosa curiosa è che, nonostante le preoccupazioni, il 61% dei tedeschi sostenga la decisione del governo di fornire armi a Kiev, mentre il 35% lo ritiene sbagliato, e il 65% approvi la politica di riarmo annunciata dal cancelliere Scholz. Allo stesso tempo la guerra ha sollecitato la volontà di svolta energetica: l’87% dei tedeschi è convinto che l’impiego di fonti energetiche alternative debba essere accelerato, mentre il 53% accetterebbe la reintroduzione del programma nucleare. Un dato impressionante se si pensa che nel 2011, poco dopo il terremoto del Giappone, questa percentuale non raggiungeva il 10%.
L’opinione pubblica tedesca è consapevole che l’Ucraina sia il tragico proxy di un conflitto più grande?
A mio avviso questa idea non è presente in modo così chiaro, o meglio il conflitto in Ucraina evoca tali incubi del passato tedesco, neanche troppo remoto, da ricoprire tutto.
Ci puoi spiegare meglio?
L’Ucraina è stato uno dei teatri di guerra più sanguinosi del secondo conflitto mondiale, con milizie locali impiegate dai nazisti per svolgere operazioni criminali di rastrellamento e repressione. Questo fatto continua a pesare sulla coscienza collettiva tedesca. Non bisogna poi dimenticare i 45 anni di guerra fredda che hanno spaccato in due la Germania, con i missili nucleari sovietici – di cui molti stanziati proprio in Ucraina – puntati sulle principali città tedesche. Quello che emerge è un mélange di emozioni negative, ansie e paure che mischiano passato e presente e riducono il futuro a un presagio cupo. Il fatto poi che la Russia sia l’aggressore mette in discussione trent’anni di Ostpolitik post-guerra fredda praticata dai tre cancellieri più longevi di sempre: Helmut Kohl, Gerhard Schröder e Angela Merkel, con i quali la Germania ha costruito il suo primato economico in Europa e nel mondo.
Cosa pensano i tedeschi delle sanzioni? Si fanno i conti con le ricadute?
Sulle sanzioni il dibattito è schizofrenico. Da un lato molti le appoggiano, ma, come mostra un sondaggio pubblicato di recente, se il 77% si dichiara d’accordo il 60% vorrebbe che un eventuale embargo dell’import di gas e petrolio fosse effettuato soltanto dopo aver assicurato l’approvvigionamento energetico da fonti o fornitori alternativi. Insomma, il classico botte piena e moglie ubriaca.
Cosa dicono i media?
Spingono in direzioni opposte. Da un lato premono per aumentarle in virtù di un sostegno incondizionato all’Ucraina, dall’altro frenano perché il complesso industriale tedesco dipende per il 50% dall’import di gas russo. Una situazione lacerante.
Non è chiaro quale sia la dialettica interna al governo sulla fornitura di armi: alle recenti dichiarazioni di Baerbock – armi pesanti all’Ucraina, è il momento del pragmatismo – fa da contraltare qualcun altro?
L’unico ad opporsi alla fornitura di armi pesanti è il cancelliere Scholz. Spd, Grünen e Liberali sono tutti a favore. Non è chiaro chi appoggi il cancelliere nella sua opposizione, visto che perfino il capo dei revoluzionarios dei verdi, l’ultra pacifista Anton Hofreiter che un tempo predicava il disarmo unilaterale, vuole fornire i Panzer a Kiev.
Molti rimpiangono l’assenza sulla scena internazionale di Angela Merkel. Non potrebbe farsi mediatrice?
Qualsiasi possibilità in tal senso è stata sabotata da Zelensky in persona quando ha dichiarato che la strage di Bucha era la conseguenza del no posto nel 2008 da Angela Merkel all’ingresso dell’Ucraina nella Nato. Credo che a questo punto nessuno desideri che Angie torni in pista; nemmeno come ruota di scorta.
Quanto vale l’accordo sul gas con il Qatar?
Poco o niente. Un articolo della Faz ha fatto notare che se le forniture di gas russo si dovessero interrompere di colpo, l’accordo non varrebbe la sabbia sulla quale è stato scritto. Il Qatar ha già impegnato la maggioranza delle sue riserve di gas liquido in contratti di lunga scadenza con diversi Paesi asiatici. Il ministro dell’Economia tedesco Habeck ha potuto parlare solo di progetti futuri. Aria fritta insomma.
Berlino ha intenzione di cambiare politica sul nucleare?
Non lo escluderei, dal momento che la crisi sta cambiando i connotati ai Grünen che sull’antinucleare hanno costruito la loro fortuna. Così come si sono rimangiati il tabù della vendita delle armi nelle zone di guerra, diventando i maggiori sponsor per armare Kiev, i verdi potrebbero benissimo mettere in discussione il loro cavallo di battaglia storico. Tanto più oggi che, come detto prima, i sondaggi sono favorevoli.
Cosa succederà alla Germania quando gli effetti della crisi si trasferiranno sui debiti pubblici europei?
A questa domanda è impossibile rispondere. Le crisi che si stanno accavallano sono troppe e troppo potenti: crisi geopolitica, energetica, di approvvigionamento delle materie prime, forse addirittura crisi alimentare, alle quali va aggiunta quella produttiva con puntate inflazionistiche potenzialmente devastanti. Senza dimenticare quella sanitaria e del debito, entrambe sempre latenti. In questo scenario da incubo mi viene difficile pensare come l’Europa possa sopravvivere nella forma attuale.
La visita, saltata, del presidente Steinmeier è diventata un caso, soprattutto perché non si può dire che la Germania non abbia fatto una chiara scelta di campo. Come è stato accolto dai principali media tedeschi?
Non bene. I media che l’hanno toccata più piano, come Die Welt, hanno parlato di un grosso errore. Altri di un disastro diplomatico da parte di Kiev, tanto che Zelensky ha cercato di metterci una toppa dichiarando che a Kiev non era giunta nessuna richiesta ufficiale di visita da parte del presidente della Repubblica Federale Tedesca. Sta di fatto che la visita era prevista eccome, almeno a sentire Varsavia e i capi di Stato dei Paesi baltici che erano stati coinvolti nei preparativi.
A proposito di scelte di campo: secondo il WSJ, a Monaco il 19 febbraio Scholz propose a Zelensky di rinunciare all’ingresso nella Nato ma Zelensky disse no. Il giorno prima ci avevi parlato di un incontro Biden-Scholz a Washington tanto importante quanto silenziato dai media. Vuoi aggiungere qualcosa a riguardo di quello snodo cruciale?
Interessante notare che il rifiuto di accogliere Steinmeier a Kiev sia avvenuto immediatamente dopo l’uscita di questa notizia sul WSJ. Una coincidenza quantomeno curiosa. In effetti pare che poco prima dell’aggressione russa, Scholz abbia presentato a Zelensky un’offerta di accordo sul quale Putin e Biden avevano dato il loro beneplacito, e che la proposta sia stata respinta da Zelensky. Anche i media tedeschi, come quelli italiani, hanno taciuto su questo fatto importante, rendendo difficile per i lettori tedeschi comprendere i nessi della crisi probabilmente peggiore del dopoguerra.
(Federico Ferraù)
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