STOCCARDA – Nella torrida estate teutonica si segnala l’intervista a Clemens Fuest, direttore dell’Ifo (Institut fùr Wirtschaftsforschung, il più importante istituto tedesco di ricerca economica), da parte di Sebastian Matthes, caporedattore di Handelsblatt (Il Sole 24 Ore tedesco). Come molti altri Paesi, la Germania sta attraversando un periodo difficile (Covid, strozzature logistiche, guerra in Ucraina, inflazione): ce la farà? Secondo Fuest, la situazione è critica (e le aziende sono preoccupate), ma non disperata. Un aspetto positivo è che le varie crisi colpiscono i diversi settori dell’economia a turno, dando modo agli altri di riprendersi.
Un problema più strutturale, sostiene Fuest, è rappresentato dalla produttività che cresce troppo (e sempre più) lentamente. La crescita è inoltre concentrata soprattutto nell’industria, mentre langue nei servizi, dove sarebbe più necessaria: il settore della sanità e quello dell’assistenza sono particolarmente bisognosi di riforme, quelle riforme che i tedeschi hanno sempre consigliato ai partner europei.
La competizione internazionale incombe, l’inflazione erode il potere d’acquisto dei cittadini. “Diventeremo sempre più poveri?”, chiede Matthes. Il direttore è ottimista al riguardo: la Germania ha sempre dimostrato una grande capacità di resilienza e adattamento. Purtroppo il Paese non ha mai avuto una vera politica industriale: i partiti sono concentrati su obiettivi a breve termine (vincere le elezioni) e non riescono a pensare in modo strategico (non oso immaginare cosa Fuest penserebbe della politica italiana).
Qual è il modello di sviluppo per la Germania e l’Europa al cospetto di Usa e Cina? L’Europa, ammette Fuest, ha perso un po’ di treni, ma ha anche molti punti di forza. È però innegabile che i nuovi player in settori strategici nascono spesso in altre parti del mondo. “D’altra parte”, continua Fuest, “se gli altri sanno fare meglio il software, lasciamolo fare a loro! Concentriamoci su quello che sappiamo fare noi”. L’opinione di Fuest appare alquanto sorprendente, anche in considerazione delle attuali difficoltà di una delle aziende simbolo del made in Germany: Volkswagen.
Nel settore automotive, il software è ormai percepito come il componente a maggior valore aggiunto, anche in vista dell’avvento della guida autonoma. La ferraglia hardware, di qualità più o meno pregiata, sta invece assumendo il ruolo di commodity. È questo il Verbo che Tesla ha annunciato al mondo: sfortunatamente, l’industria automobilistica tedesca è tradizionalmente poco orientata al software, settore in cui la leadership è statunitense (e forse cinese).
È questa la ragion d’essere di Cariad (“CAR I Am Digital”), azienda del gruppo Volkswagen creata all’inizio del 2020 con l’ambizione di diventare una società di software in grado di fornire programmi e applicazioni per l’intero gruppo. Due anni dopo l’inaugurazione, l’umore a Wolfsburg non è dei migliori. Lo sviluppo del sistema operativo VW.OS appare infatti più difficile del previsto, con conseguenze potenzialmente negative per i nuovi modelli. Il Ceo Herbert Diess è al lavoro per risolvere la situazione.
Tornando all’intervista, secondo il presidente dell’IFO il problema più critico per l’economia tedesca è rappresentato dalla “Fachkräftemangel”, la mancanza di personale qualificato dovuta al trend demografico. Il problema riguarda tutti i settori: aeroporti, assistenza, sanità, servizi al tempo libero, supermercati. La questione è stato discussa in un recente dibattito orchestrato da Jörg Schönenborn su Phoenix. Secondo gli ospiti, una soluzione consiste nel disincentivare il non lavoro, e/o aumentare l’occupazione: interessante il parallelismo con il dibattito italico sul Reddito di cittadinanza che, secondo alcuni osservatori, rende difficile la ricerca di personale anche a sud delle Alpi.
Ancora più interessanti le implicazioni del problema per AI e robotica. Da un paio di secoli a questa parte, i futurologi annunciano la distruzione del lavoro umano da parte delle macchine, con disoccupazione di massa e ribellione luddistica dei ceti proletari. Il tema è più caldo che mai, in virtù dell’attuale eccitazione per AI e dintorni. Ebbene, sta accadendo esattamente il contrario: l’automazione non riesce a controbilanciare il trend demografico, che procede spedito in tutto il Vecchio continente (in tutti i sensi ormai). Come disse Niels Bohr, è difficile fare previsioni, specialmente riguardo al futuro.
Infine, lo spettro di una nuova crisi dell’Euro. Secondo Fuest, il pericolo è reale, come indicato dagli spread in allargamento. L’Italia, che ha un rapporto debito/Pil del 150%, potrebbe avere dei problemi. D’altra parte, la Bce non può esimersi dal combattere l’inflazione. L’unione monetaria non deve crollare, ma gli Stati devono fare la loro parte, riducendo l’indebitamento: la domanda è come farlo senza provocare una rivolta sociale. È la domanda che ci poniamo anche noi.
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