Dopo mesi di tira e molla con turbine varie in giro per il mondo, la notizia shock è arrivata: il gasdotto Nord Stream 1 è fermo a tempo indeterminato. La società russa Gazprom ha giustificato l’interruzione del flusso con motivazioni tecniche, che chiamano in causa un presunto errore di progettazione, relativo naturalmente alla solita turbina (la fantasia nell’inventare scuse non rientra evidentemente tra i criteri per la selezione dei dirigenti di Stato russi).



La spiegazione non ha però convinto né Siemens Energy, né il ministro dell’Economia, Robert Habeck: “C’è ancora un po’ di gas in arrivo attraverso il gasdotto ucraino, ma la riapertura del Nord Stream 1 non è tra gli scenari più verosimili”, ha dichiarato alla rete tv ZDF, come riportato da Tagesschau.



L’interruzione della fornitura di gas è stata del resto confermata da Dmitrij Peskov, portavoce del presidente Putin, il quale ha detto a chiare lettere che la riattivazione del gasdotto è legata alla disattivazione delle sanzioni.

La guerra europea fa quindi un altro passo nella direzione sbagliata, che potrebbe sfociare in una fase più pericolosa. Alcune guerre sono infatti caratterizzate da un preludio soft, durante il quale i contendenti cercano di non fare troppo male all’avversario, per evitare l’escalation dell’arrabbiatura reciproca. Fu così nella Prima guerra mondiale che, come osservato dal professor Alessandro Barbero, cominciò quasi controvoglia. Anche la Seconda guerra mondiale ebbe una prima fase “noiosa”, passata alla storia con il nome di “Sitzkrieg” (guerra da seduti), interrotta bruscamente dall’attacco della Wehrmacht attraverso le Ardenne.



Incapace di giocare un ruolo significativo in politica estera, in grado di influenzare gli eventi che decidono i destini europei, il governo Scholz si concentra sulla politica interna. Per contrastare i prezzi elevati dell’energia, la Ampelkoalition ha concordato un terzo “ristoro” in salsa tedesca, con una potenza di fuoco di 65 miliardi di euro. Obiettivo: sostenere il tenore di vita delle fasce più deboli. Studenti e pensionati dovrebbero quindi ricevere un contributo una tantum di 200 e 300 euro rispettivamente.

Il governo ha anche concordato il proseguimento del sussidio per il trasporto ferroviario, dopo la conclusione a fine agosto dell’offerta da 9 euro al mese. Il nuovo prezzo del biglietto non è stato ancora deciso: secondo il documento preliminare, l’obiettivo si colloca in una fascia di prezzo compresa tra 49 e 69 euro mensili (i Länder devono ancora approvare il finanziamento). I pendolari ringraziano (compreso il sottoscritto, il cui abbonamento mensile ha subìto un aumento ben superiore all’inflazione, passando da 9 euro a 260). Stranamente il ristoro non riguarda i costi energetici, e anche la discussione sul tetto al prezzo del gas e agli extra-profitti di alcuni settori non sembra fare progressi.

Dal punto di vista geopolitico, dopo l’incrinarsi (per usare un eufemismo) dei rapporti con la Russia, potrebbe essere presto il turno della Cina. Per decenni Pechino ha rappresentato un Eldorado per l’industria tedesca: dalle grandi aziende automotive al Mittelstand, alle piccole imprese, tutti hanno voluto partecipare. L’ex Ceo della Siemens, Heinrich von Pierer, aveva riassunto il mantra di molti leader aziendali nel modo seguente: “Il rischio di non essere in Cina è maggiore del rischio di esserci”.

Ebbene, la percezione generale è che il rischio di esserci, o esserci troppo, stia diventando una liability nello stato patrimoniale delle aziende. La strategia statunitense volta al disaccoppiamento dal blocco ex-comunista si sta infatti delineando con chiarezza: le recenti attenzioni di Nancy Pelosi per Taiwan fanno presupporre che il prossimo atto potrebbe riguardare proprio la Cina. Alla Germania e ai suoi attori economici potrebbe essere presto chiesta una scelta di campo netta, suscettibile di mettere a rischio gli asset cinesi (fatturato, fabbriche). Ecco perché una strategia di progressivo disimpegno dal Dragone è sul tavolo delle alte sfere governative.

Sul fronte internazionale, segnaliamo la notizia di presunti dissapori tra Washington e Kiev, trapelata sulla stampa tedesca ai primi di agosto. Come riportato da Berliner Zeitung, secondo il New York Times il governo degli Stati Uniti avrebbe enormi problemi a gestire il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, che non costituirebbe un partner affidabile per la leadership statunitense.

Secondo alcune indiscrezioni, la guerra in Ucraina potrebbe ancora diventare un problema per i contribuenti statunitensi. Il quotidiano di New York cita inoltre alcuni funzionari “senior” anonimi, secondo i quali i russi potrebbero usare “una piccola arma nucleare contro l’Ucraina”.

In ogni caso, la guerra è tutt’altro che finita, la situazione non è stabile e ogni giorno potrebbe riservare nuove “pericolose sorprese”.

Se anche gli Stati Uniti danno segni di stanchezza, forse c’è spazio per un cauto ottimismo…

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