STOCCARDA – Il Governo tedesco è alla prese con una grana contabile di dimensioni ragguardevoli (60 miliardi), che potrebbe risultare di difficile (di)gestione. Ecco gli antefatti. A causa della situazione di emergenza causata dal coronavirus nel 2020, il Governo Merkel aveva aumentato il budget 2021 di 60 miliardi di euro, tramite emissione di nuovo debito. L’emendamento era stato autorizzato grazie alla sospensione del “freno all’indebitamento”, nel contesto dell’emergenza pandemica.



L’utilizzo del fondo non si era poi rivelato necessario e il Governo successivo, presieduto da Olaf Scholz, aveva deciso di riallocare le risorse per finanziare la trasformazione energetica volta a contrastare il cambiamento climatico. Con l’approvazione del Bundestag (la camera bassa del parlamento) i 60 miliardi sono stati utilizzati per finanziare varie iniziative del Governo, a partire dal 2022. Recentemente (novembre 2023) la Corte costituzionale federale di Karlsruhe ha dichiarato la riallocazione del fondo illegittima, aprendo di fatto un buco da 60 miliardi nel bilancio.



Il tema è stato discusso in un recente dibattito su Tagesschau, moderato da Jörg Schönenborn, con ospiti Stefan Schulz (giornalista indipendente), Christine Dankbar (Frankfurter Rundschau), Henrike Roßbach (Süddeutsche Zeitung), Reinhard Müller (FAZ). Quali sono le conseguenze concrete per i cittadini? Il problema è capire quali spese concretamente sono state finanziate con il fondo in questione. Alcune misure potrebbero non essere più valide in mancanza di una copertura alternativa. Il ministro delle Finanze Christian Lindner è al lavoro per trovare una soluzione.

Si leggono sulla stampa italiana commenti catastrofisti, conditi da “Schadenfreude”, in cui si percepisce il desiderio di sanzionare la Germania, che di solito veste i panni della severa governante dei conti pubblici altrui. La prima cosa da osservare è che si tratta di una faccenda di natura interna: i fondi non sono europei e non risultano violazioni di regole comunitarie. Il giudizio della Corte costituzionale, sollecitato dai partiti di opposizione, riguarda l’opportunità di motivare in modo adeguato i debiti contratti in deroga al freno all’indebitamento. Se il freno è sospeso per l’emergenza A, non ci si può indebitare per l’emergenza B.



L’obiettivo finale è mettere dei paletti per contenere l’indebitamento, anche in situazioni di emergenza. Quello che conta infatti è il volume totale del debito (in rapporto al Pil). Parafrasando un dibattito in auge anche in merito alla riforma del Patto di stabilità, non è infatti corretto dire che il fine giustifica il debito, definendo o meno la “bontà” dello stesso. L’unico debito buono è quello che riduce se stesso.

Un esempio classico è quello di un impiegato, già indebitato, che smette di lavorare e contrae un debito per fare un master; il titolo di studio acquisito gli consente di trovare un lavoro con uno stipendio più alto, che a sua volta gli consente di pagare il debito recente e pregresso. Se il lavoratore decidesse di usare i soldi del debito per aiutare le balene in difficoltà, l’iniziativa, per quanto moralmente meritoria, non servirebbe a migliorare la situazione debitoria.

La tentazione di mandare a quel Paese il freno all’indebitamento sembra peraltro guadagnare consensi in Germania. Introdotto nel 2009 durante la la crisi finanziaria, il freno all’indebitamento doveva essere un antidoto a un debito pubblico eccessivo. “Risparmia per tempo e avrai i soldi nel momento del bisogno”, dice un proverbio tedesco. Il freno all’indebitamento fa esattamente il contrario: limita il nuovo debito in base a una percentuale fissa del Pil, sia nei periodi buoni che in quelli cattivi. Questo significa che lo Stato può spendere di più quando le cose vanno bene: un controsenso proverbiale.

Il mondo economico ribolle di opinioni variegate. Mentre i sindacati sono all’unanimità favorevoli alla sospensione, i datori di lavoro sono in linea di massima contrari. Il presidente dell’Istituto tedesco per la ricerca economica (DIW), Marcel Fratzscher, è convinto che la Germania non potrà sopravvivere senza un cambiamento di passo. I danni derivanti dall’austerità sarebbero molto maggiori rispetto all’onere del debito. “In questo momento abbiamo bisogno di investimenti per preparare la Germania alle sfide del futuro e garantire l’equilibrio sociale”, ha dichiarato Fratzscher a Tagesschau.

Musica per le orecchie dei politici italiani? Ci pensa Clemens Füst a raffreddare gli entusiasmi. Secondo il presidente dell’IFO, dall’Italia si possono imparare molte lezioni, in negativo. L’Italia, caso unico in Europa, non cresce dal 1995. Grazie ai propri errori, ma anche per colpa della sfortuna, perché i suoi prodotti erano in diretta concorrenza con quelli cinesi. Attualmente le cose vanno un po’ meglio, grazie agli aiuti dal Nord Europa (siamo insomma diventati il Mezzogiorno dell’Ue). E comunque, conclude Füst, la situazione debitoria del Belpaese (soprattutto con i tassi di interesse attuali) rimane del tutto insostenibile.

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