STOCCARDA – Gotham City in salsa teutonica. Secondo la Polizeiliche Kriminalstatistik, il numero di reati registrati in Germania è salito a quasi sei milioni l’anno scorso. L’aumento dei reati è controbilanciato da una leggera crescita del tasso di risoluzione degli stessi, salito a 58,4% (occorre precisare che la statistica si riferisce ai sospettati dei crimini, non ai colpevoli effettivi). Emerge inoltre un aumento significativo dei reati commessi da minori (+43% rispetto al 2019, prevalentemente piccole aggressioni fisiche e furti), attribuibile in parte secondo gli esperti allo stress causato dalle restrizioni pandemiche.



Le statistiche registrano infine un forte incremento (17,8%) dei reati commessi da cittadini non tedeschi, un dato che può essere messo in correlazione con l’aumento dei flussi migratori registrato in Germania nel 2023. Alcuni reati, come l’ingresso illegale o le violazioni delle leggi sull’immigrazione e sull’asilo, possano essere commessi solo da stranieri, ma l’effetto rimane anche escludendo queste categorie di reati. Come riportato da Tagesschau, complessivamente più del 41,3% di tutti i sospettati sono stranieri, perlopiù giovani.



Alla luce di questi dati, diversi esponenti dell’Unione Cdu-Csu sono tornati a invocare un giro di vite sull’immigrazione. “Questi sviluppi molto negativi dimostrano quanto sia difficile l’integrazione [degli immigrati] per quanto riguarda l’alloggio, la lingua e il lavoro. Per questo motivo è necessario porre un limite all’accoglienza dei rifugiati”, ha dichiarato a Tagesspiegel il ministro degli Interni della Sassonia Armin Schuster.

Nel frattempo serpeggia sui media tedeschi una notizia inquietante: da qualche tempo l’Italia sta facendo registrare una performance economica (Pil +4% dal 2019) migliore rispetto alla Germania, il cui Pil galleggia poco al di sopra del livello pre-pandemico. Il tema è stato discusso in un podcast di Handelsblatt con Christian Wermke, corrispondente da Roma, sulle note de “L’Italiano” di Toto Cutugno. Secondo Wermke, occorre in primis notare che il Pil italiano aveva subito un calo maggiore durante la pandemia: per le leggi della fisica, è quindi normale che abbia avuto un rimbalzo più vigoroso.



La propulsione della crescita italica, continua il giornalista di Handelsblatt, è riconducibile ai fondi “NextGenerationEu”, di cui il Belpaese è il maggior beneficiario in Europa, e al “Superbonus”, tema controverso anche in Italia come ben sappiamo. Qual è il contributo di Meloni in questo mini-miracolo economico? Secondo Wermke nessuno: entrambi i fondi derivano da decisioni pregresse. Meloni sta peraltro cercando di limitare l’assorbimento del Superbonus, per evitare un escalation del debito pubblico. I tedeschi sono comunque contenti, perché si temeva che il governo di destra avrebbe peggiorato i rapporti con l’Ue e sfasciato i conti pubblici.

Anche lo spread si è ridotto, soprattutto in virtù di un aumento del rendimento dei Bund. Il debito pubblico italiano rimane elevato e la dinamica della spesa per interessi costituisce un fattore di rischio. Cosa pensano gli italiani del “freno all’indebitamento”? Secondo Wermke, gli italiani scuotono la testa per questa “fissa” del ministro delle Finanze Christian Linder (e non solo). D’altra parte i fondi sono stati utilizzati per modernizzare le infrastrutture, tra cui le ferrovie, che al momento funzionano meglio che in Germania, dove si è “kaputtgespart” (letteralmente: risparmiato fino al punto di rovinare le cose).

In conclusione, Handelsblatt sembra avallare la tesi che la crescita economica a cui stiamo assistendo in Italia, cosi come in altri Paesi, sia dovuta essenzialmente alla spesa pubblica finanziata con emissione di debito. La Germania, al momento, ha scelto di rinunciare a entrambe le cose. Prospettive di crescita future per l’Italia? L’economia italiana ha mostrato una certa resilienza e il made in Italy tira sempre, ma vedremo come andranno le cose quando finiranno i soldi pubblici. Come detto, argomentazioni simili valgono per molti altri Paesi, Stati Uniti in testa.

Se la Germania resta su posizioni difensive per quanto riguarda il debito, l’idea di lavorare di meno sembra invece guadagnare consensi: la settimana lavorativa di 4 giorni torna quindi nel dibattito pubblico, anche se non proprio dalla porta principale. Paradossalmente, commentano Bert Rürup (Handelsblatt) e Michael Hüther (Direttore dell’Istituto dell’Economia Tedesca di Colonia), nonostante recessione e licenziamenti annunciati da varie aziende, l’occupazione si mantiene su livelli elevati. Questo perché i baby boomers stanno andando in pensione e il problema della mancanza di personale è destinato ad acuirsi. La settimana corta può essere una soluzione solo in presenza di un aumento della produttività, che in Germania purtroppo non cresce da 20 anni. Morale della favola: testa bassa e pedalare.

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