BERLINO – La domanda che tutti i giornalisti avrebbero dovuto fare da un pezzo ai politici, la domanda solare, definitiva, totale e allo stesso tempo la più semplice da formulare; la domanda da un milione di dollari, l’ha posta un giovane giornalista al portavoce del ministero della sanità tedesco durante la conferenza stampa semideserta del 21 novembre. Eccola (tradotta dal video tedesco):



“La mia domanda al ministro della sanità è la seguente: il governo ha delle evidenze empiriche certe che il lockdown abbia effettivamente l’efficacia che gli viene attribuita? Perché stando alle morti, per esempio il nostro vicino, la Francia, ha un numero molto alto di decessi e ha avuto i lockdown più pesanti. Un altro caso tragicamente simile è l’Argentina. Anche loro hanno avuto il lockdown duro ma il loro numero di morti relativo è superiore a quello di Brasile e Paraguay, che non hanno fatto nessun lockdown. Per questo mi interesserebbe sapere se il ministero ha dati empirici che confermino l’efficacia del lockdown in termini di minori decessi”.



Risposta del funzionario: “Allora, il signor Seibert (portavoce del governo presente in sala) ha già informato ampiamente in occasione della precedente conferenza stampa. In quella sede sono state date delle informazioni sullo sviluppo della pandemia anche in funzione dell’efficacia delle singole misure adottate. Herr Seibert ha sottolineato che abbiamo a che fare con un fenomeno di infezione diffusa, ehm, ci sono delle indicazioni, ma… ma, ecco, un rapporto causale basato su osservazioni empiriche (tra lockdown e diminuzione dei morti) come descritto da lei, anche per la complessità della situazione, ehm, è possibile solo in modo molto limitato”. A questo punto, quasi a coprire lo stridor di unghie sugli specchi, interviene il portavoce del governo Herr Seibert, prendendola larga.



“Qual è il concetto alla base di un lockdown? Ridurre mobilità e incontri. Perché in questo modo si riducono le possibilità di trasmissione del virus. Questo è il concetto di fondo. E penso che il mondo scientifico la veda esattamente così: ai fini del controllo di una pandemia, la riduzione delle occasioni di incontri è un metodo efficace per ridurre la diffusione di un virus. La sua domanda tra il rapporto (del lockdown) con i decessi non può essere spiegata in modo così mono-causale, bisognerà controllare i sistemi sanitari di ogni regione, per ovvi motivi non è questa la sede, bisogna guardare quale fascia di età è stata colpita in modo particolarmente grave dal virus, ehm, insomma non si può rispondere così, in ogni caso non da me in questa sede, e qui la rimando ai dati scientifici. Ma il pensiero di fondo, ehm, combattere la pandemia mediante la riduzione dei contatti e della mobilità, è giusto”.

Una piccola osservazione logica prima di andare avanti. L’efficacia di uno strumento si misura dai risultati che lo strumento produce. Se i risultati sono positivi lo strumento funziona ed è adeguato al caso altrimenti c’è qualcosa da rivedere. Ora, l’efficacia dello strumento lockdown vale a dire la sua capacità di tenere sotto controllo la pandemia, da cosa può essere misurata se non dal decremento dei morti? Qualcuno potrebbe osservare che la misura giusta dovrebbe essere l’arresto e la successiva diminuzione delle infezioni, e avrebbe detto una cosa certamente sensata ma non in contraddizione con quanto detto sopra, anzi a conferma. Infatti, meno infezioni portano a meno ricoveri, meno ricoveri significano meno terapie intensive e meno terapie intensive portano a meno morti. Ora, se guardiamo all’attuale media di quattordici giorni dei nuovi decessi correlati al Covid-19 per centomila abitanti in Europa, è sorprendente che la Francia, il paese con attualmente le misure di lockdown più severe, abbia il tasso di mortalità più alto, mentre la Svezia, senza misure di blocco significative, quello più basso. (Dati del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie ECDC). Uno sguardo oltre l’Atlantico solleva altri interrogativi. Ad esempio, l’Argentina, che ha effettuato probabilmente uno dei lockdown più lunghi al mondo, da metà marzo a novembre con una breve apertura a maggio-giugno, ha tassi di infezione e mortalità più elevati (in termini relativi tenendo conto del differenziale di popolazione) rispetto, ad esempio, ai suoi vicini Paraguay e Brasile, che non hanno imposto alcuna misura di blocco significativa.

Quindi se i decessi sono la misura giusta e anche la più semplice e diretta per valutare l’efficacia dello strumento lockdown, si potrebbe escludere con relativa certezza che il blocco sia una misura efficace contro la pandemia. Però, come ha fatto notare il portavoce governativo Seibert accorso in sostegno del suo collega parlando di multi-casualità, il blocco non è l’unico strumento in grado di influenzare il risultato. Un grosso contributo lo danno i sistemi sanitari dei diversi paesi, gli investimenti in essi e la cura con la quale si è formato il personale sanitario. Ma anche l’anzianità della popolazione gioca un ruolo fondamentale, per non dimenticare l’utilizzo corretto delle maschere. Come si vede le cose si complicano. Eravamo partiti da una domanda paragonabile a un’equazione lineare semplice a una variabile, il lockdown, che pensavamo di poter risolvere all’istante e ne usciamo con una matrice a più variabili che non si sa bene da che parte prendere. E la sensazione, che ormai è quasi una certezza, è che neanche i politici e tantomeno gli “esperti” lo sappiano.

Nel dubbio però, menano, cioè impongono il lockdown anche se la sua efficacia è più che dubbia mentre invece è certissimo il danno devastante che fa all’economia e alla società. Con un rapporto costi/benefici così sbilanciato verso il numeratore perché allora insistere?

Il sospetto è che il lockdown sia uno strumento irresistibile per il politico perché fa dimenticare d’incanto tutti quei problemi per i quali non ha mai trovato una soluzione, debito, grande crisi finanziaria, pressione migratoria, spappolamento della Ue solo per citarne alcuni, e gli consente di mostrarsi attivo, responsabile, decisivo perfino, quando fino all’altro ieri ci veniva ripetuto fino allo sfinimento che per certe questioni la politica non contava un tubo perché doveva scansarsi davanti alle esigenze dell’economia e della finanza. Per finire, a modo di ciliegina sulla torta, offre al politico l’occasione di mostrarsi veramente preoccupato, quasi empatico, per le sorti del popolo. Della sua salute soprattutto, e questo dopo avere tagliato per anni la spesa sanitaria per rispettare i rigorosi parametri economici di Maastricht (Monti & Fornero docet) che evidentemente prima del Covid valevano molto di più della salute dei cittadini (e dopo quanto varranno?). Per questo in tutta la Germania crescono le iniziative e le manifestazioni di persone che vogliono vederci chiaro.

Secondo l’istituto Robert Koch, che si occupa di controllo e prevenzione delle malattie infettive, circa l’85% delle persone morte causa Covid in Germania avevano più di 70 anni. La stragrande maggioranza soffriva di una o più malattie pregresse. Inoltre, circa la metà proveniva da case di cura. Queste persone sarebbero morte anche senza Covid-19, o la vera causa della morte è stata un ictus o un’emorragia cerebrale e il virus è stato solo un fattore secondario? Sono domande di cui i media non si occupano, preoccupati a far da grancassa alle disposizioni dei politici e a rimuovere ogni informazione che potrebbe comprometterne l’efficacia. Chi se le pone è chiamato covidiota o viene accomunato ai complottisti che vaneggiano sulla non esistenza del virus o, peggio ancora, agli estremisti di destra che sventolano le bandiere del secondo Reich come caricature uscite da un brutto romanzo di Heinrich Mann.

Le manifestazioni avvengono un po’ ovunque. Soltanto lo scorso fine settimana ce ne sono state a Bochum, Göppingen, Lipsia, Pforzheim, Hannover e di nuovo a Berlino dove oltre 5.000 persone hanno attraverso in silenzio il centro della città dietro a un cartello con la scritta: “Dobbiamo parlare”. Parlare tra di noi, tra cittadini. Dobbiamo confrontarci su questo tema così importante superando gli steccati ideologici enfatizzati dai media.

Lungo il percorso sono stati fiancheggiati da un piccolo gruppo di contestatori sedicenti antifa con ottant’anni di ritardo che scandivano il mantra “alerta alerta antifascista!” e il cui pensiero, se solo ne avessero avuto uno, sarebbe stato pressappoco questo: Ognuno ascolti gli ordini e segua le istruzioni. Fai quello che ti è stato detto: metti la maschera, controlla la distanza, rispetta il coprifuoco, mostra il certificato di vaccinazione, paga le tasse, non disturbare il manovratore, non pensare che c’è chi lo fa per te, non fare domande e vedrai che campi cent’anni. Alerta alerta antifascista!

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