STOCCARDA – Nel 2023 la Germania sarà probabilmente il fanalino di coda tra i paesi OECD per crescita del Pil. I motivi dello stallo dell’ex enfant prodige dell’economia mondiale, attualmente candidato a diventare il nuovo “malato d’Europa”, sono molteplici. Un fattore della crisi è riconducibile agli attuali problemi della Cina, da cui secondo le stime dipenderebbe il 10% dell’economia tedesca. Nodi strutturali, quali mancanza di manodopera più o meno qualificata, burocrazia, allergia al rischio, completano il quadro a tinte fosche. La recessione incombente e le possibili ricette per ridare slancio alla locomotiva europea sono al centro del dibattito pubblico.
Il tenore della discussione ricorda per certi versi gli analoghi dibattiti in atto da decenni nel Belpaese, che è malato ormai da parecchi decenni, caratterizzati da soggiorni in terapia intensiva alternati a periodi di dimissione. Secondo il leitmotiv la Germania avrebbe un enorme potenziale inespresso, strangolato dai “lacci e lacciuoli” imposti dalla burocrazia di Bruxelles. La vituperata Ue ha peraltro in serbo pregevoli iniziative volte ad aumentare la competitività europea in settori strategici, come quello dei semiconduttori. Lo European Chips Act investirà oltre 43 miliardi di euro in fondi pubblici e privati, con l’obiettivo di portare la quota di mercato globale dell’industria europea dal 9% al 20% entro il 2030. Il piano dovrà fare i conti con le sfide derivanti dalle tensioni geopolitiche internazionali e dalla concorrenza degli Stati Uniti, che hanno stanziato 52 miliardi di dollari per finanziare progetti nel settore dei semiconduttori.
Il successo dell’iniziativa dipenderà dalla velocità di implementazione e dalla capacità di attrarre i talenti a livello internazionale. Il tema è stato discusso sul canale televisivo Phoenix da un panel di esperti moderato dal giornalista Jörg Schönenborn. A Dresda sorgerà una nuova fabbrica di microchip, partecipata da importanti player tra cui Bosch, Infineon, NXP e la taiwanese TSMC. L’investimento previsto è di 10 miliardi di euro, di cui la metà proviene dallo Stato tedesco.
Si tratta di una buona notizia? Occorrono robusti incentivi per rendere attraenti gli investimenti in Germania? Le opinioni degli esperti divergono. Non si tratta peraltro di un caso isolato. A giugno il governo tedesco e il colosso statunitense Intel hanno siglato un accordo per la realizzazione di una nuova fabbrica di microchip a Magdeburgo, capitale del Land Sachsen-Anhalt. La massiccia sovvenzione statale (9,9 miliardi di euro) ha attirato diverse critiche, ma l’amministratore delegato di Intel Pat Gelsinger difende il progetto: “Per ogni euro il governo mette due euro, un grande impegno per il mercato tedesco ed europeo”.
Il Leibniz Institute for Economic Research di Halle avanza invece delle riserve sui piani di Intel. La location sarebbe caratterizzata da una mancanza di manodopera qualificata e infrastrutture adeguate, e i sussidi statali sarebbero troppo alti. L’ex sindaco e attuale consigliere Intel di Magdeburgo, Lutz Trümper (SPD), respinge le accuse definendole “assurde” e “non scientifiche”. Critiche alle affermazioni degli scienziati sono arrivate anche dagli spalti della Cdu. Il tema è stato discusso anche in un podcast di Handelsblatt (il Sole 24 Ore tedesco), che ha ospitato una conversazione tra il giornalista di Handelsblatt Roman Winkelhahn e Joachim Ragnitz, vicedirettore della sede IFO di Dresda. Secondo Ragnitz l’obiettivo di TSMC è diversificare i siti produttivi, per mitigare i rischi geopolitici che aleggiano su Taiwan. Le aziende vogliono anche approfittare degli incentivi offerti da Ue e Germania (che è poi la ragion d’essere degli incentivi stessi). “Saranno in grado i sussidi di dare una spinta alla congiuntura?” si chiede Winkelhahn. No, secondo Ragnitz.
Gli investimenti nella “Silicon Saxony” hanno però anche e soprattutto l’obiettivo di rendere la Germania indipendente dalle supply chains asiatiche, che possono interrompersi e creare problemi, come abbiamo visto in tempi recenti. Una mossa che dovrebbe rafforzare la posizione dell’industria automobilistica, impegnata nella doppia transizione fossile-elettrico e hardware-software. Invece di dare i soldi sotto forma di sussidi statali, non sarebbe meglio, continua Winkelhahn, agire su infrastrutture, burocrazia e Fachkräftemangel (mancanza di manodopera) per migliorare in modo sistemico le condizioni della Germania come destinazione di investimenti produttivi? Forse. D’altra parte anche gli Usa perseguono la politica degli incentivi: il finanziamento statale è quindi un modo per competere con la stessa moneta. I soldi potevano essere usati meglio? Forse, ma come ebbe a dire Voltaire (traendo ispirazione da un proverbio italiano) “il meglio è nemico del bene”.
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