STOCCARDA – Si è conclusa con un lieto fine la vicenda del buco di bilancio in Germania. Le tre casalinghe sveve (Scholz, Habeck, Lindner) hanno trovato un modo per far quadrare i conti del 2024. Il risultato sarà ottenuto riducendo i sussidi per le fonti energetiche dannose per il clima e tagliando la spesa di alcuni ministeri. Possiamo quindi archiviare questo episodio nella rubrica “tanto rumore per nulla”, insieme agli shutdown statunitensi. Una crisi innescata dalla passione per le regole autoimposte, condita con una buona dose di “german angst”, che porta i tedeschi a preoccuparsi per problemi che altrove non sarebbero considerati tali.
Lucio Caracciolo (Limes) traccia un ritratto impietoso della Germania, che si apre con una citazione del fu Henry Kissinger: un “Prodotto interno lordo in cerca di strategia”. Secondo Caracciolo, la Germania ha subito un calo di potenza negli ultimi 2-3 anni, da quando ha iniziato a soffiare il vento della deglobalizzazione. Era una Germania industriale vocata all’export, trainato da colossi industriali leader di un mondo in via di estinzione.
L’accorciamento delle catene del valore, i rapidi cambiamenti tecnologici e le tensioni geopolitiche hanno sparigliato le carte. La sottrazione del gas russo e l’exit dal nucleare hanno costretto il Governo a ricorrere al carbone, peggiorando il bilancio ecologico. I partiti tradizionali non trovano risposte efficaci alle varie crisi che si succedono, tirando la volata ad Alternative für Deutschland.
Un’analisi che potrebbe soffrire di “recentismo”. Le catastrofi suddette si sono infatti materializzate negli ultimi 2-3 anni: a fine 2020 la Germania era ancora la prima della classe, avendo fatto registrare il minor crollo pandemico del Pil. Poi ha avuto un rimbalzo inferiore alla media, ma, come già sottolineato, dal punto di vista matematico è meglio cadere di meno che rimbalzare di più. Inoltre, se è vero che l’economia tedesca cresce poco, anche il debito resta contenuto.
Le crisi che si sono succedute sono contingenti. Le caratteristiche antropologiche della nazione tedesca, che secondo Dario Fabbri hanno un maggior valore predittivo della performance di lungo periodo, restano invariate. La capacità organizzativa, che è alla base del successo delle grandi aziende tedesche, in un mondo sempre più complesso. Ma anche una certa avversione al rischio (finanziario e non solo), che si traduce nell’incapacità di generare start-up al ritmo statunitense. Una mancanza condivisa peraltro con il resto del mondo. E in ogni caso, due anni sono pochi per dare la Germania per spacciata.
Naturalmente, i rischi non mancano. Uno dei principali è rappresentato dal dominio cinese delle tecnologie elettrico/ecologiche. Come documentato da Alberto Forchielli e Fabio Scacciavillani su “Inglorious globastards”, grazie agli enormi sussidi statali ricevuti, le aziende cinesi dispongono di una sovracapacità produttiva lungo tutta la catena del valore green e sono in grado di soddisfare la domanda mondiale a prezzi imbattibili. Nel settore dei pannelli solari, il market share della Cina è passato dal 10% nel 2005 al 60% attuale. Situazione analoga per le batterie elettriche.
Come riportato dalla CNN, Masashi Matsuyama, vicepresidente di Nissan Motor e presidente di Nissan China, ha dichiarato che la casa automobilistica giapponese sta valutando la possibilità di produrre in Cina le prossime auto elettriche e ibride plug-in per il mercato mondiale. L’azienda si sta unendo ad altre aziende automobilistiche, tra cui Tesla, Bmw e Ford, che stanno espandendo le esportazioni di automobili prodotte in Cina. Questo trend rappresenta un rischio per l’industria manifatturiera tedesca ed europea.
I principali Paesi stanno stimolando la transizione elettrica anche dal lato della domanda. Negli Usa il credito d’imposta per l’acquisto di una nuova auto elettrica ammonta a 7.500 dollari. In Cina, nei prossimi due anni gli acquirenti riceveranno fino a 30.000 yuan (3.900 euro) per veicolo. La Francia ha riorganizzato gli incentivi a metà dicembre, offrendo un bonus con importi fino a 7.000 euro. In Germania, i sussidi per i veicoli elettrici sono stati invece cancellati dal Governo, in preda alla frenesia di tamponare il buco di bilancio creato dalla sentenza di Karlsruhe.
La Germania sembra quindi perseguire un “Sonderweg”, un percorso speciale rispetto alle principali economie sviluppate. Con riferimento al ben noto rapporto debito/Pil, potremmo dire che i principali competitor si concentrano sul denominatore, spingendo il pedale sull’acceleratore dei sussidi finanziati con emissione di debito. La Germania si arrovella invece sul numeratore. Ma ciò che conta non è il valore del rapporto nel 2024, ma fra 10 o 20 anni. Vedremo chi la spunterà.
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