Il dibattito pubblico sulla guerra tiene banco in Germania, prendendo a volte direzioni inattese. Un clone di John Mearsheimer (professore americano che si guadagna da vivere tenendo conferenze sull’espansione della Nato in Europa) è apparso in TV in prima serata: si tratta di Klaus von Dohnanyi (SPD), intervistato da Sandra Maischberger su “ARD – Tagesschau”. Secondo il 93-enne ex-ministro nonché ex-sindaco di Amburgo, il primus movens del conflitto sarebbe la potenziale adesione dell’Ucraina alla Nato. Una scelta che viene considerata inaccettabile da Mosca, e sulla cui necessità Usa e Regno Unito sono invece inflessibili, anche a prescindere dagli interessi europei.
Oltre alle cronache belliche, è la questione energetica a dominare l’agenda politica. Molti indicatori (stop alle forniture a Polonia e Bulgaria, interruzione del flusso attraverso l’Ucraina) fanno presagire che, più presto che tardi, anche la Germania dovrà fare a meno del gas russo. La domanda a cui la politica deve rispondere è se il Paese se lo può permettere.
Il 10 maggio si è tenuta al Bundestag una seduta della commissione parlamentare per il clima e l’energia, con rappresentanti del Parlamento, del mondo scientifico, imprenditoriale e sindacale. Secondo Tom Krebs, professore di macroeconomia presso l’università di Mannheim, lo scenario è preoccupante: la Germania potrebbe sperimentare la più grave recessione del dopoguerra, con un crollo del Pil, nel caso peggiore, superiore al 5%. In questo caso, l’impatto più forte sarà sull’industria, che teoricamente ha una bassa priorità nel piano di emergenza del gas.
In realtà i Paesi europei hanno superato in tempi recenti crisi paragonabili (subprime nel 2007, coronavirus nel 2020), a eccezione di Grecia e Italia, che sono ancora convalescenti. Le esternazioni del professor Krebs potrebbero essere quindi una manifestazione del fenomeno noto come “German Angst” (angoscia tedesca), che porta i tedeschi a drammatizzare la situazione (essendo davvero angosciati, a differenza del “chiagne e fotte” nostrano).
Le previsioni di Karen Pittel (IFO) sono peraltro più benevole (-2,2% nel 2023), cosi come le stime di Benjamin Moll, professore di macroeconomia presso la London School of Economics, intervistato da Michele Boldrin sul canale Youtube “Liberi Oltre”. Petrolio, gas e carbone russi rappresentano il 34%, il 55% e il 26% dei rispettivi totali, e il gas costituisce la risorsa più critica. Secondo Moll, la fornitura complessiva di gas diminuirebbe del 30% in caso di embargo, provocando un calo del Pil tra lo 0m5% e il 3%: un colpo duro, quindi, ma sopportabile.
Il problema, già inquadrato da Robert Habeck un mese fa e ricordato dal professor Jens Südekum in commissione, è che i modelli econometrici si basano sull’ipotesi di “piccoli scostamenti”. Questa ipotesi, che vale in tempi normali e consente di prevedere le variazioni di anno in anno, cessa di essere applicabile in presenza di eventi eccezionali. Le previsioni dei suddetti modelli sono quindi da prendere con le molle.
E tuttavia, secondo Südekum, il quadro è già meno preoccupante rispetto a due mesi fa. Il piano di emergenza del gas resta fermo al livello di “preallerta” dichiarato ai primi di aprile. Secondo il ministro dell’Economia e dell’Ambiente Robert Habeck, non ci sono le condizioni per passare al livello successivo, nonostante le controsanzioni annunciate da Mosca. La quota di gas russo è già scesa dal 55% al 35% del totale, e potrebbe essere azzerata in un paio d’anni, facendo ricorso a LNG e altre misure. Nel complesso, il ministro sembra meno disfattista rispetto a poche settimane fa, quando aveva preconizzato il tracollo industriale della prima economia europea.
Habeck sembra inoltre aver sviluppato anticorpi efficaci contro le incursioni dei politici ucraini. Nel recente incontro a Berlino, il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba ha esortato la Germania a interrompere le importazioni energetiche dalla Russia. “Oggi non possiamo attuare un embargo sul gas”, ha affermato Habeck. “Purtroppo il momento non è ancora arrivato.” Il messaggio è sempre quello, ma lo sguardo del ministro appare meno costernato e colpevole rispetto ai primi tempi.
La serenità del ministro dell’Economia contrasta con il turbamento del Cancelliere Olaf Scholz, la cui strategia comunicativa è stata discussa nel talk-show di Markus Lanz su ZDF. Secondo lo psicologo Manfred Lütz, il Bundeskanzler infarcisce i suoi discorsi con riferimenti alla “guerra nucleare”, contribuendo in tal modo a diffondere il panico nella popolazione. Se Scholz fosse uno psicologo, continua Lütz, il paziente si butterebbe giù dalla finestra. Senza contare che l’atteggiamento imbelle di Scholz potrebbe contribuire a ringalluzzire Putin, a dispetto dei rovesci militari.
Forse il Cancelliere è turbato per l’esito delle elezioni nel Bundesland Schleswig-Holstein, in cui la CDU ha riportato una netta vittoria, assicurandosi il 43% dei voti. Anche i Verdi sono andati bene, raggiungendo il 18%. La SPD ha invece subito un crollo verticale, finendo al 16%, mentre la AFD non ha superato lo sbarramento del 5%. Difficile non proiettare l’ombra della guerra sui risultati: secondo questa interpretazione, i cittadini hanno punito le esitazioni di Scholz e le posizioni russofile della AFD. Vedremo se il trend sarà confermato con le elezioni in NordRhein-Westfalen, in programma nel weekend.
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