Mancano appena due giorni all’atteso appuntamento del Consiglio europeo, ma l’incontro Conte-Merkel in Germania – dove questi appuntamenti non sono neppure definiti bilaterali, ma esplorativi – non ha acceso chissà quali riflettori.
In Germania il centro politico ha cambiato fisionomia da circa un anno e le politiche espansive non sono più viste come il male assoluto, a patto che sia la Germania a condurle. Tralasciando il vassallaggio obbligato di Stati dalla bassa produttività, Berlino punta ad espandere il proprio mercato ad Est e per farlo ha bisogno dell’Europa. Il Nord Italia è parte della filiera produttiva tedesca, quindi va rimesso in moto ad ogni costo, anche tramite forme di prestito vincolate a riforme legate al contenimento del debito (anche se con meno ossessione di un tempo).
Il premier italiano è visto come il tessitore di una rete mediterranea che rappresenta gli interessi di paesi dall’elevata spesa pubblica. Dall’altro lato però si comprende come non vi siano soluzioni se non immettere liquidità. Ma la Germania esige riforme. Nell’incontro con Conte la Merkel ha messo in chiaro le condizioni base che porteranno la Germania ad appoggiare il Recovery Fund. Tali condizioni – tutte allineate agli interessi tedeschi – prevedono riforme, anche dure.
Una situazione ben descritta dalla stampa tedesca che parla perfino nei dettagli delle riforme che l’Italia dovrà mettere in campo. Ad esempio i media tedeschi hanno più volte criticato “quota 100” e il sistema pensionistico italiano ed una delle riforme richieste sarà proprio quella di mettere mano a questo settore.
Tutto questo – si noti – è assente in Italia, dove passa un messaggio centrato sul controllo dei fondi. L’insistenza sul “controllo” da parte europea di eventuali spese è notizia tipicamente italiana, in realtà la Ue (Germania in testa) vincola i finanziamenti a riforme. Nemmeno la stampa tedesca scrive di controlli: è stato solo qualche giornale del Nord Europa a rispolverare slogan del 2011-12, abbastanza inopportuni visto che l’Italia non ha avuto un centesimo dalla Ue, anzi è contribuente del Mes e ha subìto un’austerity che ha portato a contrazione dei consumi, disoccupazione e paradossalmente esplosione del debito. È ormai provato, tranne che per l’europeismo più acritico, che l’austerità produce debito sul lungo termine e chiama ulteriore austerità, fino alla depressione del paese in questione: la Grecia è l’esempio più lineare.
Dopo Meseberg si può concludere che lo scenario è rimasto immutato. La Germania chiede riforme, ma l’Italia non ha fornito risposte. Eppure, con i contagi in calo, il virus sotto controllo, una ricchezza privata senza eguali in Europa, un buon avanzo primario, l’Italia avrebbe potuto fare leva sulle perplessità francesi e spagnole, elaborando una proposta comune e soprattutto concreta.
In Germania non si aspettavano istanze generiche ma proposte tecniche, un pacchetto di riforme da collegare ai finanziamenti, invece il presidente del Consiglio si è presentato con una non-proposta, centrata sull’utilizzo degli strumenti esistenti senza condizioni o modifiche. Di fatto Giuseppe Conte ha chiesto agli europei di aderire a un fondo nuovo con regole di adesione poco chiare e soprattutto non in linea con gli strumenti esistenti, assai rigidi. Motivo per cui soprattutto la Spagna ha avanzato dubbi, dato che al Mes ha aderito in passato e sa perfettamente che una volta dentro si è obbligati ad attenersi a parametri legati a riforme rigide.
Per mettere in angolo quel Nord Europa che considera “cicala” quella parte di continente che produce a livello di manifattura in proporzione più della Cina, servono elaborazioni tecniche o modifiche convincenti agli strumenti come Mes – che in Germania non si sognano neppure di definire “senza condizioni” – Sure o Recovery Fund.
Purtroppo Conte non ha fatto nulla di tutto questo. Ciò lascia supporre che il prossimo summit si prefiguri come l’ennesimo fiume di proposte non concretizzate.
P.S. In questo periodo a Berlino si sta lavorando per una Ue più vicina alla Cina. Una manovra rischiosa che non passa inosservata sull’altra sponda dell’Atlantico. Il premier olandese Rutte è finito nel mirino del New York Times per il suo comportamento contro l’Italia, considerato non democratico. Sono segnali da non sottovalutare.