Dopo mesi di silenzio, interpretato da alcuni osservatori come un sintomo di sensi di colpa latenti, Angela Merkel ha finalmente parlato. L’8 giugno l’ex Kanzlerin si è concessa ai microfoni del giornalista di der Spiegel Alexander Osang. Le domande dell’intervistatore hanno ruotato attorno al tema della guerra in Ucraina e alle responsabilità del Governo tedesco, per spaziare anche su questioni più personali. 



Nel 2008 venne presentato al summit Nato di Bucarest un “action plan”, con una roadmap per l’adesione dell’Ucraina all’alleanza atlantica. Merkel pose il veto della Germania sull’action plan, per due motivi. In primo luogo, l’Ucraina di allora non era ancora pronta, in termini di maturità democratica, per accedere all’esclusivo club occidentale (a questo proposito, sarebbe interessante sapere come viene valutato lo standard democratico di altre nazioni, la Turchia ad esempio). In secondo luogo, era chiaro che l’action plan sarebbe stato interpretato da Mosca come una provocazione, che avrebbe potuto portare a conseguenze spiacevoli. Merkel ha quindi rivendicato la giustezza delle decisioni di allora, pur condannando senza mezzi termini l’invasione russa di febbraio, definita una “inaccettabile violazione dei diritti dei popoli”.



La posizione di Merkel può essere considerata un esempio di Realpolitik: secondo l’ex cancelliera, Putin è allergico ai principi della democrazia occidentale. E tuttavia la Russia è un Paese troppo grande e troppo armato per poter essere assimilato o anche solo ignorato. Occorre quindi trovare un modus vivendi, pur nel dissenso che caratterizza le posizioni reciproche. 

Come ricordato da Osang, Merkel e Putin sono due leader della stessa generazione, entrambi cresciuti in una dittatura comunista. Parlano entrambi sia russo che tedesco (e hanno meno dimestichezza con l’inglese). Ma, secondo Merkel, è la lingua della forza quella che Putin comprende meglio: per questo è opportuno investire sul riarmo della Germania, a scopo di deterrenza.



Il giornalista ha poi chiesto un commento sulle recenti critiche espresse da Andri Melnik. Secondo l’Ambasciatore ucraino, la politica di “appeasement”, perseguita dal Governo tedesco nei decenni passati avrebbe di fatto spianato la strada all’invasione del 24 febbraio. Merkel ha obiettato che l’invasione avrebbe potuto avvenire prima, con conseguenze anche più drammatiche. Come corollario, l’ex Cancelliera ha inoltre ricordato come la Germania sia stata fortunata ad avere una riunificazione pacifica: circostanza non del tutto scontata.

Nel frattempo, buone notizie (per la Germania) sul fonte finanziario. La Banca centrale europea ha aperto la strada al primo rialzo dei tassi di interesse in undici anni. Giovedì scorso, in una riunione in trasferta ad Amsterdam, il consiglio direttivo della Bce ha deciso di terminare il programma di acquisti di titoli di stato alla fine di giugno e di aumentare i tassi di interesse già a partire da luglio. La notizia è stata ricevuta con favore in Germania: ci si aspetta che la mossa contribuisca a riportare sotto controllo l’inflazione (mi sembrava di aver capito che le cause di quest’ultima fossero soprattutto esogene: vedremo). 

Esistono però anche aspetti potenzialmente negativi. In primis, il rialzo dei tassi potrebbe intralciare alcuni settori dell’economia, come quello delle costruzioni, che hanno particolarmente beneficiato del basso costo del denaro. Un altro problema (che potrebbe indirettamente riguardare anche la Germania) è costituito dal potenziale deterioramento delle finanze del Sud Europa, messo in evidenza da Jens Münchrath di Handelsblatt. Un terzo effetto nefasto potrebbe tradursi in un rallentamento degli investimenti in innovazione, peraltro già in atto, come ricordato dall’esperta in startup Larissa Holzki.

L’industria tedesca dovrà anche fare i conti con la decisione del Parlamento europeo di vietare la vendita di auto nuove con motori a combustione, a partire dal 2035. La notizia è stata accolta con entusiasmo dai Verdi (cosa non del tutto scontata, viste le giravolte a cui ci hanno abituati in tempi recenti), mentre l’associazione tedesca dell’industria automobilistica (VDA) avrebbe preferito avere un’opzione anche per i motori a combustione alimentati in modo climaticamente neutro. Secondo il presidente della VDA Hildegard Müller, la decisione non tiene inoltre conto del ritardo infrastrutturale (reti di ricarica) europeo, che potrebbe costituire un ostacolo sul percorso verso la transizione elettrica.

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