STOCCARDA – Nel 1941, osservando l’avanzata dell’esercito tedesco su Mosca, Boris Pasternak scriveva: “Sentiamo avanzare l’autunno col passo della sciagura”. Ottantun anni dopo, in una situazione simile a parti invertite, con la Russia nei panni dell’aggressore, un analogo sentimento di sciagura imminente aleggia sulla Germania. L’ultimo numero di Der Spiegel è in gran parte dedicato alle paure che angustiano il popolo tedesco.
Breve riassunto delle crisi precedenti. L’industria continua a soffrire per la carenza di materie prime e semilavorati, imputabile principalmente al blocco dei porti e delle infrastrutture logistiche, imposto dalle restrizioni anti-Covid orchestrate dal Governo cinese. L’aumento dei tassi di interesse da parte della Fed sta rallentando la congiuntura internazionale, con conseguenze nefaste per l’export tedesco. La guerra russo-ucraina spinge verso l’alto i prezzi delle materie prime, portando il tasso di inflazione a livelli mai visti dagli anni ’70. Il commercio mondiale arranca, ci sono Paesi in via di sviluppo che rischiano il default. Cina e Stati Uniti si stanno dando da fare per provocare un incidente diplomatico a Taiwan.
Secondo Der Spiegel, il tasso di risparmio del 60% delle famiglie è sceso a zero. L’azione del Governo, che ha predisposto 3 pacchetti di aiuti, l’ultimo per un valore complessivo di 65 miliardi di euro, è considerata insufficiente e “ingiusta” da parte del ceto medio. Le misure sono infatti rivolte alle fasce più deboli della popolazione, mentre gli strati a più alto reddito se la cavano egregiamente anche senza. A essere escluse sono appunto le fasce intermedie.
Il cancelliere Olaf Scholz (Spd) è sul banco degli imputati. Teoricamente la Spd, partito tradizionalmente più attento ai bisogni delle fasce più deboli, dovrebbe essere particolarmente adatto per gestire una situazione di emergenza come quella attuale. L’indice di popolarità del Cancelliere è invece in caduta libera, ormai da diversi mesi. Secondo un sondaggio Civey, il 50% degli intervistati è insoddisfatto dall’operato di Scholz.
La situazione è potenzialmente esplosiva: migliaia di persone sono scese in piazza nelle scorse settimane, a Lipsia, Magdeburgo, Pforzheim. La protesta potrebbe essere solo all’inizio e preludere a un “autunno caldo”. I manifestanti hanno scandito slogan critici verso la politica estera governativa: “riaprite subito Nord Stream 2”, “solo con il carbone e con l’atomo possiamo pagare l’energia elettrica”. Il prossimo test per sondare la pancia dell’elettorato sarà fra tre settimane, quando si terranno le elezioni in Niedersachsen.
Le crisi attuali colpiscono un Paese già segnato dalla diseguaglianza. Gli aumenti di reddito degli ultimi 20 anni (che può considerarsi un periodo d’oro per la Germania) sono stati infatti distribuiti in modo ineguale: il 10% superiore ha beneficiato di un incremento del 40%, mentre il 10% inferiore si è dovuto accontentare di un misero 5%. Discorso analogo per i patrimoni: il valore mediano ammonta a 23.000 euro, includendo automobili, pensione e gioielli di famiglia. In ogni caso, la festa è finita. Secondo Timo Wollmershäuser, ricercatore dell’Ifo, la recessione in Europa è ormai inevitabile.
L’azione (peraltro maldestra) dei panzer di Putin ha posto la parola fine all’era della globalizzazione. Potranno l’industria chimica e siderurgica, questa la domanda centrale, continuare a esistere, senza poter contare sull’energia russa a basso costo? Con la fine della globalizzazione, il modello di sviluppo tedesco potrebbe essere giunto al capolinea.
L’economia tedesca risulta particolarmente colpita dalla crisi attuale per lo stesso motivo per cui è stata relativamente risparmiata dagli strascichi del Covid: il peso elevato dell’industria, e basso dei servizi, sul Pil. Chiudere e riaprire un ristorante è però più facile che smantellare e ripristinare un impianto siderurgico. Ad apparire critica è soprattutto la situazione delle medie aziende (Mittelstand), molte delle quali starebbero pensando di delocalizzare la produzione in Paesi con costi energetici più bassi: Usa, Messico e Cina, ad esempio.
Nello scenario peggiore, la crisi energetica arriverebbe a compromettere anche la transizione verso il trasporto elettrico: i costi di un pieno di energia elettrica potrebbero essere fuori dalla portata degli automobilisti. I piani dei player globali per la produzione di batterie in Europa sono attualmente in fase di revisione. Secondo un rapporto del Wall Street Journal, anche la fabbrica di Tesla presso Grünheide potrebbe essere rimessa in discussione.
La domanda che si pone lo scrivente è: si tratta del solito fenomeno noto come “German Angst”, che porta i tedeschi ad arrovellarsi in modo eccessivo? Da Peter Adrian, Presidente del Dihk (Associazione delle Camere dell’Industria e del Commercio tedesche), arrivano i toni più drammatici: “Ci aspetta una recessione pluriennale, con una perdita di benessere di dimensioni inimmaginabili”. Torsten Henzelmann, esperto energetico della società di consulenza Roland Berger, è meno catastrofista ed esclude il rischio di un razionamento del gas nel prossimo inverno.
Il presidente dell’Ifo Clemens Fuest esorta lo Stato a sostenere l’economia con aiuti mirati, come già avvenuto durante la pandemia. Occorre inoltre spingere il pedale dell’acceleratore sulle rinnovabili. In altre parole: occorre attenersi al contratto di coalizione. Il pericolo di una deindustrializzazione della Germania esiste, ma è ancora remoto. Secondo Fuest, è stato un errore smantellare il mix energetico esistente (carbone, nucleare, gas) prima di disporre di un mix alternativo basato sulle rinnovabili. Ma indietro non si torna.
Nel frattempo alcune aziende hanno già dichiarato insolvenza: Görtz (scarpe), Dr. Schneider (componentistica automotive), Hackle (carta igienica). E pensare che durante la pandemia i rotoli di carta igienica erano considerati un bene rifugio…
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