STOCCARDA – Nubi oscure si addensano sulla Germania. L’economia tedesca ha registrato il più grande calo degli ordini industriali (-10,7% rispetto al mese precedente) dai tempi del Covid (marzo 2020). Il calo è stato particolarmente pronunciato nei settori dei veicoli elettrici, navi, aerei e veicoli militari. Il ministro dell’Economia Robert Habeck non interpreta tuttavia il tonfo come un segnale di inversione congiunturale. Secondo Habeck, lo scivolone sarebbe da attribuire alla forte volatilità nell’andamento degli ordini, a fronte di un trend di medio periodo sostanzialmente positivo.



Il calo degli ordini dei veicoli elettrici fa peraltro scopa con l’andamento del mercato cinese. Nel regno di mezzo la situazione sta prendendo una brutta piega per i produttori tedeschi, che hanno visto un crollo verticale delle quote di mercato delle auto elettriche. La classifica dei dieci modelli più venduti in Cina non include nessun modello tedesco, e annovera Tesla come unico produttore straniero. Le cause della debacle teutonica sono da ricercare nei prezzi competitivi delle auto cinesi in tutti i segmenti di mercato, insieme a una migliore performance delle batterie. Gli esperti del settore prevedono uno tsunami che dall’Estremo Oriente potrebbe propagarsi anche al continente europeo.



Il momento infelice della prima economia Europea è fotografato da due recenti ricerche da parte della società di consulenza EY. Secondo la prima, le grandi aziende americane surclassano le controparti europee e asiatiche in termini di investimenti R&D. Nel 2022, le 164 aziende leader con sede negli Stati Uniti hanno investito 475 miliardi di euro in R&D, facendo registrare un aumento del 16% rispetto all’anno precedente. Le aziende giapponesi sono seconde, con 87 miliardi di euro investiti (+6%) e le tedesche sono terze, con 68 miliardi di euro (+11%). EY esorta le aziende tedesche a mantenere un alto livello di investimenti in innovazione per restare competitive.



La seconda ricerca di EY si concentra sugli aspetti culturali. Secondo lo studio, la maggior parte dei dirigenti avrebbe la tendenza a nascondere i propri errori: un atteggiamento che mette a rischio l’innovazione e la competitività delle aziende. La mancanza di una “cultura degli errori” rappresenta un ostacolo per l’attrattività dell’azienda come datore di lavoro, per il tasso di innovazione e per la qualità dei prodotti. Secondo il rapporto, i dirigenti tedeschi non avrebbero sufficiente “demut”, ovvero l’umiltà necessaria per ammettere i propri errori: strano, avrei detto il contrario…

Passiamo a temi più concreti: la gestione dei migranti. Nei primi 4 mesi del 2023 la Germania ha ricevuto 100.000 richieste di asilo, quasi il doppio rispetto all’anno precedente. Nella giornata di mercoledì 10 maggio ha avuto luogo un vertice Stato-Regioni sulla questione migratoria. I Presidenti di alcuni Stati tedeschi, tra cui Manuela Schwesig, Stephan Weil e Hendrik Wüst, hanno espresso preoccupazione per l’aumento del flusso migratorio e il conseguente impatto economico sulle risorse dei territori. Secondo Wüst, lo Stato avrebbe erogato 600 milioni di euro, a fronte di un costo reale pari a 3,7 miliardi.

Le aspettative dei Länder sono andate deluse: il Governo ha messo sul piatto 1 miliardo di euro aggiuntivo, aggiornando la seduta a novembre. Il direttore generale dell’Associazione tedesca delle città e dei comuni, Gerd Landsberg, ha descritto l’accordo come “troppo a breve termine e troppo generico” e ha chiesto un piano a lungo termine. Secondo Landsberg, la Germania non dispone di una strategia sostenibile per la gestione del fenomeno migratorio, che sembra inarrestabile. Possiamo rincuorare Landsberg: quasi tutti i Paesi europei sono nella stessa situazione.

La portavoce dell’associazione “Pro Asyl”, Wiebke Judith, è rimasta invece scioccata dallo “scarso interesse emerso per i diritti umani delle persone in fuga”. “I centri di detenzione ai confini esterni della Ue sono la ricetta per un disastro dei diritti umani”, ha dichiarato Judith, esortando il Governo a “tornare urgentemente a una politica basata sui diritti umani”. Secondo “Pro Asyl”, il dibattito scaturito dal vertice porta acqua al mulino dei populisti.

L’approccio più in voga in Europa per gestire i flussi migratori auspica la stipula di accordi bilaterali con i Paesi della sponda Sud del Mediterraneo, quali Tunisia, Egitto e Marocco. In passato, l’accordo con la Turchia non ha tuttavia portato i risultati sperati. Secondo Gerald Knaus, ricercatore nel campo dell’immigrazione, occorre fare in modo che i suddetti Paesi abbiano un interesse concreto a rispettare gli accordi. Questa strategia potrebbe funzionare, dato che molti migranti provengono da Paesi come la Tunisia e il Bangladesh, da cui è difficile ottenere asilo. Ci risentiamo a novembre.

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