STOCCARDA – In economia, la “trappola del reddito medio” è una situazione in cui il Pil pro capite di un Paese cresce fino a raggiungere un livello medio (compreso fra 1.000 e 12.000 dollari), ma non riesce a raggiungere il livello elevato tipico dei Paesi avanzati. Secondo Clemens Fuest, presidente dell’IFO Institut, l’Europa è invece alle prese con la “trappola della tecnologia intermedia”, caratterizzata da investimenti R&D concentrati in industrie tecnologiche di medio livello, mentre Usa e Cina aumentano gli investimenti nei settori ad alta tecnologia (soprattutto IT e software).
Sebbene l’Europa mantenga una posizione dominante nell’industria automobilistica, la produzione sta calando, mentre gli Stati Uniti registrano profitti astronomici nei settori high-tech, come dimostra la performance borsistica dei magnifici sette. Per uscire da questa situazione, l’Europa dovrà rivedere le sue politiche di innovazione, concentrandosi su tecnologie meno mature (e quindi più rischiose), riformando la governance a livello europeo. A livello nazionale, conclude Fuest, la creazione di un’agenda volta a stimolare l’innovazione e la dinamica aziendale è essenziale per rilanciare la competitività.
Se investire in tecnologie innovative può apparire rischioso, anche restare nella valle della tecnologia intermedia comporta dei rischi. Vent’anni fa l’Italia, preda di una “trappola della bassa tecnologia”, fu presa di mira dalla prima ondata industriale proveniente dalla Cina. La Germania, che era posizionata a un livello tecnologico superiore nella catena del valore industriale, riuscì a sfuggire al processo di deindustrializzazione. Purtroppo gli ultimi 20 anni non sono stati utilizzati per effettuare salti tecnologici quantici, il livello tecnologico è aumentato in modo incrementale e adesso il tempo sta per scadere.
L’incapacità di produrre innovazioni “disruptive” è uno dei problemi che affliggono l’economia europea. Presso lo European Research Council (ERC) di Bruxelles, un’agenzia della Commissione europea con la missione di finanziare la ricerca di base, il motto è “high risk high gain”: rischiare di percorrere vie inesplorate per fare scoperte disruptive. Una cosa che in questa fase storica non è nel DNA degli europei. Per decenni la Germania è stata il fulcro dell’automotive mondiale. Eppure, le due principali innovazioni in questo settore (motore elettrico e guida autonoma) sono nate altrove. Uno dei pionieri della guida autonoma fu in verità il tedesco Sebastian Thrun, che però dovette trasferirsi in California per realizzare le sue idee.
Passiamo dalla teoria alla pratica. Lunedì 2 dicembre circa 100.000 dipendenti Volkswagen hanno scioperato in nove delle dieci sedi tedesche, come riportato dal sindacato IG Metall. Solo a Wolfsburg, 47.000 dipendenti hanno preso parte a una manifestazione presso lo stabilimento principale, scandendo lo slogan “Pronti a colpire! A livello nazionale!”. Daniela Cavallo, responsabile italo-tedesca del Consiglio di fabbrica, ha esortato gli azionisti dell’azienda a dare un contributo maggiore alla crisi. Il prossimo giro di negoziati deciderà l’atteggiamento sindacale: senza un accordo, si andrà verso un’ulteriore escalation delle proteste.
Tre anni fa scrissi un articolo in cui rimproveravo il sindacato italiano di concepire la dinamica dei rapporti fra le parti come uno scontro tra squadre, padroni contro lavoratori. Una visione miope con l’obiettivo di arrecare al maggior numero di avversari il maggior danno nel minor tempo possibile, mentre il bene comune restava un’immagine sfuocata sullo sfondo. A differenza del modello tedesco, caratterizzato dal concetto di Mitbestimmung (codecisione), in base al quali manager e sindacati gestiscono insieme l’azienda, per il bene comune.
Ma nel frattempo il processo di latinizzazione della Germania ha fatto passi in avanti e la postura attuale dei sindacalisti tedeschi appare molto simile a quella dei colleghi italiani: rabbia, protesta e lotta a oltranza, perché non devono essere i lavoratori a pagare il costo della crisi. Forse IG Metall conosce un metodo per gestire le aziende sconosciuto al resto del mondo.
Molti accusano il top management di aver fallito, per non essere riuscito a prevedere i trend tecnologici attuali. Secondo i detrattori, i manager avrebbero dovuto prevedere che nel giro di un decennio la Cina sarebbe diventata il primo esportatore di auto al mondo, che SpaceX avrebbe inventato i razzi riciclabili, che l’intelligenza artificiale sarebbe arrivata con 50 anni di anticipo.
Come disse Nils Bohr, è difficile fare previsioni, specialmente riguardo al futuro. Ma quando la fantascienza diventa realtà, risulta impossibile.
Cosa pensa di fare la politica? Qualche buona idea ci sarebbe, ma c’è sempre il vincolo dello Schuldenbremse (il freno all’indebitamento), che oltre a frenare il debito frena anche gli investimenti e l’economia nel suo complesso. Anche se la parola “debito” evoca paure ancestrali, lentamente ma inesorabilmente sempre più voci invocano una riforma del freno. Joachim Nagel, Presidente della Bundesbank, propone ad esempio di scorporare dal calcolo del deficit gli investimenti (il cosiddetto “debito buono”). Un’idea peraltro non particolarmente originale, che verrà ponderata con la lentezza tipica della politica. Una lentezza che comporta costi sempre più insostenibili.
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